Congiunzione
Non c’è bisogno di essere linguisti per sapere che la congiunzione è un elemento
fondamentale, forse addirittura l’elemento fondamentale della costruzione linguistica.
Come definire allora la scrittura di Emily Dickinson dove le parti connettive nel migliore
dei casi sono abbreviate, ma più frequentemente sono tolte? La “e”, congiunzione principe
- ancora più pesante e significativa nell’”and” inglese - in Dickinson non compare. Al suo
posto appaiono barre, separazioni, intervalli. E’ la stessa cosa? No, non è la stessa cosa,
non può essere la stessa cosa. Perché così barrato, intervallato, separato, il dettato
dickinsoniano giunge al lettore in modo nervoso, isterico. Immediatamente si coglie un
dato: quella poesia non sarà mai pacificatrice o pacificante. Comunicherà sempre
asprezza, ansietà, disagio. Constatazione, questa, che naturalmente non cancella un’altra
realtà della poliedrica e immensa (ripetiamo: circa 1700 componimenti) produzione
dickinsoniana: come è altrettanto evidente anche a chi legge Emily solo in traduzione,
infatti, esiste nel suo animo e quindi nel suo dettato poetico anche una forte componente
sentimentale.
Tale attitudine al “sentimentalismo” fu la prima ad essere colta dal pubblico della Nuova Inghilterra. Con la prima edizione a stampa, dopo la morte della poetessa, “passò” questa componente, capace di trasformare una parte della sua poesia in motto da calendario, in frase proverbiale. Un aspetto, questo, che potrebbe essere definito in qualche modo l’involucro, la carta luccicante nella quale rimane avvolto come un nocciolo duro la realtà sfuggente, verticale, astratta del suo genio. Una realtà che induce Emily a rifuggire quasi sempre anche dal ricorso grammaticale a forme di coordinazione e di subordinazione.
Come ebbe a scrivere Nadia Fusini,
Emily Dickinson può dunque essere complessivamente definita come un’avventura particolare e irripetibile della lingua inglese, capace di mettere in imbarazzo - in primis - proprio un lettore di madrelingua.
Franco Buffoni


Tale attitudine al “sentimentalismo” fu la prima ad essere colta dal pubblico della Nuova Inghilterra. Con la prima edizione a stampa, dopo la morte della poetessa, “passò” questa componente, capace di trasformare una parte della sua poesia in motto da calendario, in frase proverbiale. Un aspetto, questo, che potrebbe essere definito in qualche modo l’involucro, la carta luccicante nella quale rimane avvolto come un nocciolo duro la realtà sfuggente, verticale, astratta del suo genio. Una realtà che induce Emily a rifuggire quasi sempre anche dal ricorso grammaticale a forme di coordinazione e di subordinazione.
Come ebbe a scrivere Nadia Fusini,
“la lingua della Dickinson è compressa, contratta, lacunare, procede from blank to blank”.Proprio il procedimento da spazio bianco a spazio bianco la rende evanescente e infinitamente interpretabile, la rende unica. In pratica, con Dickinson, ci si trova quasi sempre ad avere a che fare con con una mancanza “centrale”. Una mancanza che la stessa Dickinson definì “ellittica”. E se ellittico è in genere il suo procedimento verbale, la figura geometrica dell’ellissi non può che essere il marchio distintivo della sua opera e della sua vis creativa.
Emily Dickinson può dunque essere complessivamente definita come un’avventura particolare e irripetibile della lingua inglese, capace di mettere in imbarazzo - in primis - proprio un lettore di madrelingua.
Franco Buffoni


Franco Buffoni racconta Emily Dickinson