Daniela Nurra
“Il potere delle donne risiede nella loro capacità
di essere vulnerabili e autentiche”
(Brenè Brown)
di essere vulnerabili e autentiche”
(Brenè Brown)
Comunemente prima di internet, chi avrebbe mai ragionato, ad esempio, su certe abitudini (strane) sane? Oppure che certi alimenti, musica, costumi sono fonte di arricchimento, di integrazione e di scoperta? Prima dell’avvento di internet poteva capitare, certo, che qualcuno avesse preso contatto e conoscenza con realtà diverse, magari lontane, e poi magari trasmetteva questa esperienza agli altri, ma erano abbastanza limitati. Di certo, però, l’impetuosa ondata di dati, contenuti e informazioni che ci veicola la Rete non erano minimamente immaginabili.
Come ci rapportiamo coi i social? In questo senso, che siamo donne, uomini, giovani, meno giovani i Social impongono tutta una serie di sfide e parametri, che giocoforza ci toccano, sia che li seguiamo, sia che non siano una nostra frequentazione.
In fin dei conti sui social ci comportiamo un po’come nelle feste paesane o di quartiere: ci si prepara, ci si fa belli, mostrando il nostro lato migliore o che più vogliamo mostrare, anche nascondendo o mascherando difettucci. E soprattutto cercando sempre di mettere in mostra la parte migliore di noi. In questo ovviamente non c’è nulla di male, finché non diventi una corsa a mostrare esclusivamente aspetti forzatamente positivi, patinati e irreali o quantomeno inumani.
Finché non pretendiamo di fare tutto bene, di essere sempre al massimo delle nostre capacità, senza errori sbavature. Ecco in questo i social ci hanno portato e portano continuamente a voler essere, a dover essere sempre al meglio. Un meglio dal punto di vista fisico, un meglio dal punto di vista psicologico, sociale e qualsiasi nostra angolazione e sfaccettatura, almeno in apparenza. In qualche modo ci siamo convinti che se non si fa o meglio se non si mostra ciò che a volte si fa, non si ha, che se non si appare sempre al meglio, non siamo persone degne di merito e amore.
Questa prospettiva risulta ancora più gravosa se parliamo di donne: la sindrome dell’impostore, è inculcata fin dai primi anni di vita[1]. Gli standard per le donne frequentemente, sono sempre alti, sempre più alti. Senza voler cadere nell’antagonismo uomo-donna, possiamo rilevare che alle donne è chiesta una presenza fisica oltre che psicologica, nel senso che essere piacenti, piacevoli sia esteticamente che caratterialmente, spesso è il minimo sindacale.
[1] La sindrome dell’impostore è stata descritta per la prima volta a fine anni ’70 dalle psicologhe P. Clance e S. Imes. Si tratta di una percezione interna di non meritevolezza del successo personale. Vd. IPSICO dott.ssa. I. Castellani.
