il passato
Volevo leggere una pagina... diciamo, di questa idea del passato. All’inizio di Filologia dell’anfibio c’è una “Giustificazione”, come usava nei saggi di una volta, che recita:
Andrea Cortellessa
Volevo leggere una pagina... diciamo, di questa idea del passato. All’inizio di Filologia dell’anfibio c’è una “Giustificazione”, come usava nei saggi di una volta, che recita:
Ci sono persone per le quali il passato è la sola dimensione reale. Per queste persone vivere significa essenzialmente aggiornare il proprio passato; di tale aggiornamento essi hanno coscienza discontinua, apparendo loro talvolta come conservazione, talvolta invece come perdita. È in simili momenti di lutto che queste persone, inorridite dal dilapidante cangiare della vita, chiedono soccorso alla letteraturaIn questo caso la scrittura, dunque, anziché ricostruire una presenza – un dato oggettivo, una verità –, cancella un’esperienza dolorosa, la imbalsama e così la oggettivizza; archiviandola l’esclude dal circuito delle proprie sensazioni primarie. La filologia, anziché ricostruire un dato, circoscrive una lacuna. Forse come succede in quel salto nell’iperspazio intuitivo che i filologi chiamano divinatio: quando di fronte a un elemento che non torna patiscono l’esperienza dell’arbitrio. È allora che interviene la scrittura, cioè l’immaginazione – cioè appunto l’invenzione del passato. La nostalgia
Michele Mari
Andrea Cortellessa