L’uomo aveva l’alito da fumatore e un profumo appiccicoso, pesante e speziato.
Sono vergine, gli disse Silvi, e voglio fare sesso.
Benissimo, disse l’uomo. Io ti posso aiutare.
Lascia stare la Sprite, disse Silvi. Non c’è bisogno.
L’uomo mise la mano in tasca, tirò fuori un fascio di banconote, ne contò quattro o cinque e le mise sul tavolo. Poi le circondò la vita con un braccio.
Dove vuoi andare?, le chiese mentre uscivano in strada.
All’Hotel del Lago, disse Silvi.
L’uomo aggrottò la fronte.
È molto caro, disse. Vieni, ti porto in un posto che conosco io.
La portò in un albergo a ore, sulla statale, all’uscita dalla città. Entrarono direttamente con la macchina. L’uomo si mise nudo e aspettò che fosse nuda anche lei.
Vieni qua, le disse l’uomo. Succhiamelo finché mi viene duro.
Silvi fece come diceva.
I peli del pube le facevano il solletico al naso e Silvi starnutì.
Salute, disse l’uomo, e le strizzò le tette. Poi fece scivolare la mano e la tastò con le dita.
Sei bagnata, le disse.
Sì, mormorò Silvi.
Mettiti a quattro zampe.
L’uomo si infilò un preservativo e si mise dietro di lei. Silvi sentì che le appoggiava la punta calda, senza entrare. L’uomo rimase fermo. Respirava forte, l’aria sembrava densa, i fiori della carta da parati marrone.
Vuoi che te lo metta dentro?, chiese l’uomo con voce roca.
Sì, disse Silvi.
Chiedimelo, disse l’uomo.
Mettimelo dentro.
Che cosa?
Mettimelo dentro.
Che cosa?
Il cazzo, disse Silvi.
Dove?
Nella vagina.
Chiedimi di mettertelo nella fica.
Mettimelo nella fica, disse Silvi.
L’uomo la penetrò con una stoccata e a Silvi sfuggì un singhiozzo di dolore.
Lo senti?, chiese l’uomo.
Sì.
Ti piace così, bello duro?
Silvi non riusciva a parlare.
Ti piace o no?
Sì, disse Silvi.
Dimmelo, dimmi che ti piace, disse l’uomo.
Mi piace, disse Silvi, mentre l’uomo la prendeva per i fianchi e cominciava a muoversi avanti e indietro.
Dimmi che ti piace, ordinò l’uomo, a voce più alta.
Silvi sentiva l’odore del suo sudore sotto il profumo, un sudore acre, concentrato. L’uomo si agitava a ogni movimento e il sudore le cadeva sulla schiena come una pioggia.
Mi piace, mi piace, mi piace tantissimo, disse Silvi, e alzò la testa e guardò da sopra la spalla. Vide la faccia dell’uomo, una smorfia di sforzo gli torceva la faccia.
Scopami, disse allora Silvi. Scopami, disse, e di colpo fu come se un’onda la prendesse da sotto e la sollevasse e la mostrasse lì, nell’aria, nel miscuglio di odori dell’aria.
Il suo corpo non pesava più niente e si staccò dal materasso e da terra. Silvi si espanse in un soffio, in un urlo, in un grido. Un gemito lungo le prese la bocca, gli ansiti le scompigliarono i capelli. Silvi volava in alto, circondata di vento, finché l’uomo non le crollò sulla schiena e lei sentì che la schiacciava.
Poi fu un po’ come svegliarsi. Un brivido, e Silvi tornò in sé come se fosse passato moltissimo tempo. Ci mise un po’ a riconoscere la stanza d’albergo, le tende dozzinali, il ronzio monotono dell’aria condizionata. Inarcò la schiena, respirò a fondo, scostò i capelli che le si erano appiccicati sulla faccia.
Su, lavati, le disse l’uomo mentre si toglieva il preservativo e lo gettava sotto il letto.
Federico Falco, --- Silvi e la notte oscura,