sabato 21 marzo 2015

Il significato ambiguo della parola "Amore" - 2

Il significato ambiguo della parola "Amore" - 2

Vi sono troppe contraddizioni – linguistiche, psicologiche, etiche – dell'idea che in Occidente si ha dell'«amore», troppi significati si accumulano e si confondono in questa parola: come se, nel corso dei secoli, una serie di paure avessero impedito di fare chiarezza, di dire la verità sulle dinamiche del sentimento che tutti hanno sperimentato
 
Questo eccesso di applicazioni di un'unica parola obbliga a precisarla di caso in caso, per evitare equivoci: la si puntella, a tale scopo, con una serie di aggettivi e sostantivi (come abbiamo appena visto parlando di amore filiale, materno, dell'amore-passione, dell'amore di Dio eccetera), oppure con particolari intonazioni della voce, o semplicemente appellandosi alla perspicacia dell'interlocutore.
 
Ma dobbiamo domandarci come mai le lingue occidentali, che pure sono ricchissime, non abbiano coniato termini specifici per ciascuna delle modalità dell'«amore», tanto più che queste sono sempre state tutte estremamente importanti nelle relazioni degli individui gli uni con gli altri, e di ciascuno con se stesso. Non abbiamo che due ipotesi a disposizione.
 
La prima è che vi sia, nel nostro concetto di «amore», un quid talmente elastico da potersi allungare in tutti quei versanti, pur rimanendo sempre il medesimo: un super-significato, o sostrato di significato, da cui discendano tutti gli undici che abbiamo appena esaminato; ma tale quid, se pure c'è, è sempre sfuggito ai linguisti.
 
La seconda ipotesi è invece che noi usiamo il concetto «amore» allo scopo di non vedere le molte cose che esso indica: di non cogliere e apprezzare né la particolarità che è propria a ognuna di esse, né ciò che davvero ne accomuna alcune e non altre. Usare il sostantivo «amore» e il verbo «amare» è, insomma, come dire, trovandosi davanti a un gruppo di persone: «Tutta questa gente...» invece di guardar bene quali persone siano - con la differenza che con quel sostantivo e con quel verbo indichiamo non soltanto qualcosa che ci stia davanti, ma una serie di elementi essenziali nella vita di ciascuno di noi.
 
«Amore» è insomma una x, ma la si direbbe una x fabbricata apposta per scoraggiare i curiosi. Tutte le volte che la usiamo, questa parola ci annuncia qualcosa che manca, ma non che manca a noi, bensì soltanto alle lingue della nostra civiltà.
 
A quanto pare è avvenuto anche con l'«amore» quel che è avvenuto con lo «Spirito»: la civiltà occidentale non ha voluto e non vuole fare i conti con qualcosa.
 
Tanto più eloquente diventa l'espressione comune a molte lingue europee: fare l'amore. È proprio vero: noi siamo stati abituati a fare l'«amore», ma non solo con i nostri amanti, bensì sempre, nel nostro linguaggio e nel nostro ragionare, continuiamo a farlo esistere - a parlare d'«amore», a pensare l'«amore», a volere l'«amore» - perché non appena smettessimo, ci accorgeremmo che non c 'è una cosa chiamata amore, che sia una soltanto e solo quella. C'è, quella cosa, solo se ci sforziamo di credere che ci sia, ma quanto più la osserviamo, tanto più vediamo che non è affatto quel che credevamo che fosse, bensì un velo di nebbia, con cui le nostre lingue ci nascondono un chissà che di profondamente nostro, di cui qualcuno per qualche ragione ha avuto e ha timore, e vuole perciò che continui a rimanere vaga nel pensiero della gente.
 
Così ci risulta più comprensibile il fatto che discutendo d'amore si finisca con il parlare tanto di sé: quando uno ha sentore di star trattando d'un qualcosa che non si sa bene cosa sia, tenderà più che altro a descrivere i propri rapporti con quel qualcosa, dato che se provasse a precisarlo non saprebbe cosa dirne.
 
Già, ma a chi e perché il qualcosa che la parola «amore» indica o nasconde è risultato tanto scomodo?

Igor Sibaldi

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