Ana Rossetti
PURIFICAMI Felici coloro che lasciarono se stessi. Colette È vero, qualche volta cerco di ribellarmi, di privarmi e spogliarmi di te. E ti sogno, il vestito che scivola, afflosciandosi in terra le pieghe innumerevoli, e ti nego. Le tue foto abbandonano le angoliere intarsiate, il vetro delle cornici, e il tuo nome s’infrange, io dimentico che era maggio, le Pleiadi, il fiore somigliante al crisantemo. Non credo più che esista la quinta di Ciaicowski, però ricorro a te. Alla fine, ricorro sempre a te, al tuo silenzio schivo di fronte alla meraviglia, ai riccioli pazienti iridantisi al sole, quando stringevi papaveri e volevi essere santa, alla desolazione, opale torbido, e alla caparbietà di non mostrarlo mai. Volontà educata a conservare, affinché dal tuo volto non un cenno di te trasparisse, a non aprire il cuore su fogli silenziosi o sulla stoffa viola dei confessionali. A non versarlo in lacrime. Come ti controllavi per celare paure o sventure; il disastro e la colpa disdegnati, lo stupore nascosto. Bambina mia ferita e mai, mai dolce, facevi tesoro di maschere, metafore, ingenui simulacri di armatura o esorcismo e non mi immaginavi erede o alunna. Non so vivere, io, senza imitarti. appaghi in te, né ricordo che in fondo non parli di te, né esperienza che io non confronti con te, regina della cautela e dell’enigma. Però è tanto il riserbo che non so più il nome delle cose né di questo sentimento, dolce e impetuoso, forse doloroso e disperato, che mi ha sopraffatta. Nell’ignorarlo è la mia vanagloria, sono la mia prudenza e l’obbedienza. Bambina mia, mia tiranna, guardandoti io so che è tutto inutile e che ti rassomiglio, che per mia volontà resto in te, prigioniera. La mia memoria è carcere, tu il mio marchio mio orgoglio, io solo esecutrice delle tue volontà, bocca divulgatrice che segue i tuoi precetti, infanzia, patria mia, bambina mia, ricordo. Traduzione di Francesco Dalessandro Ana Rossetti
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