mercoledì 2 novembre 2016

il benservito nel momento sbagliato

Edna O'Brien

È impossibile sostenere che le brutte notizie, se comunicate in un certo modo e in un certo momento, hanno un effetto meno disastroso. Io però sono convinta che lui mi abbia dato il benservito nel momento sbagliato. Tanto per cominciare, era mattina. Suonò la sveglia e mi sollevai a sedere chiedendomi quando lui l’avesse messa. Era già in piedi e stava provvedendo a spegnerla. – Scusami, cara, – disse. – L’hai messa tu? – dissi, indignata. Sapeva di tradimento, come se avesse voluto svignarsela senza salutare. – Pare proprio di sí, – disse. Mi abbracciò e ci stendemmo di nuovo. Fuori era buio e c’era una sensazione – ma forse esiste soltanto nel ricordo – di ghiaccio.
[...]
– Che bello, ti sei fermato tutta la notte, – dissi. Lo accarezzavo ovunque. A letto non stavo mai ferma con le mani. Sveglia o addormentata, era un continuo accarezzarlo. Non per eccitarlo, semplicemente per rassicurarlo e consolarlo e forse per consolidare il mio diritto di proprietà. Trovo che ci sia un che di terapeutico nel tenersi strette le cose. Tengo per ore pietre lisce nel palmo della mano oppure impugno i lati di una poltrona e dopo mi sento meglio. Mi baciò. Disse di non aver mai conosciuto una persona piú dolce e premurosa.
 
Io, incoraggiata, mi dedicai a una cosa molto intima. Sentivo i suoi sospiri di piacere, gli «oh, oh» goduti quando si abbandonava dicendosi allo stesso tempo che non doveva. Sulle prime non mi accorsi che stava parlando.
 
– Ehi, – disse in tono scherzoso, come se niente fosse. – Lo sai che cosí non può andare avanti –. Pensavo che si riferisse all’attività del momento, perché il tempo stringeva e lui doveva scappare. Poi sollevai la testa che tenevo affondata fra le sue gambe e lo guardai attraverso i capelli che mi erano ricaduti sul viso. Vidi che era serio.
 
– Mi sono appena reso conto che forse mi ami, – disse. Annuii e spinsi indietro i capelli per dargli modo di leggere l’attestazione che avevo scritta chiara in faccia. Mi fece stendere in modo da accostare la testa alla mia e cominciò:
 
– Ti adoro, ma non sono innamorato di te; con i miei impegni non credo che potrei innamorarmi di qualcuno, all’inizio l’ho presa alla leggera… –
 
Quelle ultime parole mi offesero. Io non la vedevo né la ricordavo cosí: tutti i telegrammi che mi aveva mandato con scritto: «Muoio dalla voglia di vederti», oppure: «Che il sole risplenda su di te», i primissimi istanti a ogni incontro, quando eravamo sopraffatti dalla passione, dalla timidezza e dallo shock di essere cosí turbati dalla presenza dell’altro. Avevamo perfino cercato sul dizionario le parole per esprimere il modo unico in cui consideravamo l’altro. Lui aveva scelto «incensare», che significa adorare o coprire con il profumo dell’amore. Era la parola perfetta e la usavamo di continuo. Adesso rinnegava tutto. Parlava di inglobarmi nella sua vita, nella sua vita familiare… di farmi diventare un’amica. Anche se lo disse con poca convinzione. A me non veniva in mente una sola cosa da dire. Sapevo che se avessi aperto bocca avrei fatto una figura penosa, perciò rimasi in silenzio.
 
Quando tacque fissai la fessura tra le due tende dritto davanti a me e, guardando il raggio di cruda luce che filtrava, dissi: – Mi sa che fuori c’è il ghiaccio, – e lui disse che era possibile, visto che era pieno inverno. Ci alzammo e lui come al solito tolse la lampadina dall’abat-jour sul comodino e infilò la spina del rasoio. Io andai a preparare la colazione. Fu l’unica mattina in cui dimenticai di fargli la spremuta d’arancia e spesso mi chiedo se lui l’abbia preso per un affronto. Se ne andò poco prima delle nove.

Oggetto d'amore (raccolta)      (Oggetto d'amore racconto )
     Edna O'Brien

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