venerdì 4 novembre 2016

Tutte le mattine felici si assomigliano, esattamente come tutte le mattine infelici

Jonathan Safran Foer
Tutte le mattine felici si assomigliano, esattamente come tutte le mattine infelici, ed è questo, in fondo, a renderle così profondamente infelici: la sensazione che quest’infelicità sia già accaduta prima, che gli sforzi per evitarla al massimo la rafforzino e probabilmente non facciano che esacerbarla, che l’universo, per qualche inconcepibile, inutile e ingiusta ragione, cospiri contro l’innocente sequenza di vestiti, colazione, denti e ciuffi sparati, zaini, scarpe, giacche, saluti.
[...]
In passato il contatto fisico li aveva sempre salvati. Per quanto intensa fosse la rabbia o per quanto si sentissero feriti, per quanto fosse profondo l’abisso della solitudine, un contatto, anche un contatto fugace, bastava a restituire la storia del loro legame. Una mano sul collo: riemergeva tutto. Una testa appoggiata alla spalla: la chimica montava, la memoria dell’amore. Certe volte era quasi impossibile superare la distanza tra i corpi, cercare il contatto. Certe volte era impossibile. Entrambi conoscevano bene quella sensazione, nel silenzio di una camera da letto buia, gli occhi fissi sullo stesso soffitto: se potessi aprire le mie dita, potrebbero aprirsi le dita del mio cuore. Ma non posso. Voglio arrivare a superare la distanza e voglio essere raggiunto. Ma non posso.

    Jonathan Safran Foer
Eccomi

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