venerdì 8 aprile 2016

desiderio e amor proprio

Per Leopardi dunque la compassione ha a che fare con l’amor proprio, come tutti i sentimenti, ma è capace di forzare l’amor proprio verso una condizione in cui la rappresentazione dell’altro prende campo, presenza, si fa domanda e prossimità
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l’amor proprio può trasformarsi e generare il sentimento profondo dell’altro, della condivisione, della sofferenza con l’altro, insomma del patire insieme. Allo stesso modo è possibile che l’amor proprio generi l’amore: anche il sentimento dell’amore è fondato sull’amor proprio, ed è amore vero – se è possibile una verità dell’amore – quando questo non torna su se stesso, provocando compiacimento, piacere di sé, uso dell’altro, ma quando, uscendo fuori di sé, tocca l’estremo della propria condizione.....
....L’amor proprio ha in sé il movimento del desiderio, che è espansivo, aperto, incolmato, e tocca per questo l’estremo, l’impossibile
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l’amor proprio, da un punto di vista delle relazioni umane, è spesso osservato come movimento verso l’egoismo, fonte, dunque dell’interesse verso di sé, ritorno a se stesso, rappresentazione di sé.
Ma al tempo stesso questo amor proprio ha in sé la possibilità di evitare questo ritorno su di sé, e di muoversi sull’onda espansiva del desiderio. E il desiderio è movimento verso l’altro. Desiderio di una condizione in cui il sé e l’altro siano in una relazione di equilibrio. Per fare questo l’amor proprio deve spingersi fino al limite del sé, in una sorta di punto estremo, sulla cui soglia la presenza dell’altro, del suo volto, e anche della sua pena, si affaccia come figura della stessa appartenenza creaturale, vivente tra viventi.
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l’amor proprio che si spinge fino al punto estremo, fino al punto in cui sta sulla soglia e quasi fuori se stesso, come se dovesse compiere una sorta di ascesi, di meditazione fino alla perdita del senso di sé, potrebbe aprire una linea di riflessione su quel “sedendo e mirando” dell’Infinito, una sorta di movimento di espansione della coscienza che arriva sino al margine del rappresentabile. Si tratta in quel caso di portare il pensiero fino alla soglia estrema in cui possa rappresentare l’irrappresentabile, dove la lingua e i sensi sperimentano l’impossibilità di sentire l’infinito, e c’è il naufragio: che è naufragio della lingua, dei sensi, della poesia stessa. L’infinito non entra nella parola, nella lingua, o, se entra, è soltanto parola, è soltanto lingua, e non è più infinito.
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Tornando alla compassione, essa è punto estremo dell’amor proprio e quindi del desiderio, che è un bisogno di vita, vita che si espande incontrando il mondo, gli altri.
 
Il desiderio non è solo nell’amore, è desiderio come ??µ??, thumos, vicino alla trieb freudiana (che poi, in Freud, si rovescia nella morte, si piega nell’inorganico).
La compassione è il desiderio che portandosi all’estremo del campo di orizzonte del sé, dimentica di tornare a sé e incontra l’altro nella sua sofferenza, nella sua gettatezza, lo incontra dove si mostra nella forma più fragile, disarmata, esposta. Incontrando l’altro nel dolore, il soggetto può tornare a sé, riconoscendosi la stessa fragilità. Torna a scoprire un sé di cui, Leopardi dice, può avere compassione.

Antonio Prete intervista link esterno

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