Anna Lamberti Bocconi
il ritorno di Don Chisciotte
Eccomi, torno a galoppare invano, a ragionare mulinando al vento. Mi hanno calato sopra il mio cavallo con corde tese come in un teatro col colabrodo sopra il vecchio cranio, non so perché né come, e non so altro. Certo che il mondo non lo riconosco la patria non risponde ai miei richiami forse non sono più sugli altipiani sospetto che la Mancia sia lontana… Mi si dia carta e penna, spazi e gesta, voglio cantare ancora, e dar di spada per dividere il giusto dal meschino, soltanto un po’ di pane e un po’ di vino, tanto mi basta per ricominciare! Ho un nuovo impero qui da rifondare su queste strade prive di sapore, lo vedo roteante e circolare, anelli di un Saturno in gestazione. La notte è il mio dominio più animato, uccelli che si lanciano richiami mostruosi e tropicali, becchi a falce… In questi anni, ahi, quanto ho viaggiato! Un quetzalcoatl gigante mi svegliava le lontane mattine delle Indie, me cavaliere, uomo e buon signore. La forma antica dalle piume tonde che volteggiava alta nell’azzurro, le penne remiganti in muto sprone… e lì compresi che dovevo andare, fare ritorno al vostro stanco mondo nel nome dell’onore, contro i torti, per tutto il male da rigenerare. Come spiegarlo a chi non può sapere? Quanta loquela dovrò adoperare? Ascolterete dunque la mia storia che dalla bocca si perde nel vento, le mie parole vapori di nebbia lungo le rotte della filovia. E cominci il mio viaggio, e così sia. Un gran piazzale come un arrembaggio di fanciulli rapiti da pirati, uomini e ragazzetti in movimento: mi appresso con cautela, non mi mostro non vorrei che la lunga mia figura spingesse i bimbi a provare sgomento. Un’auto si avvicina con i fari puntati verso un efebo slanciato, una mano fa un cenno di richiamo e il figlio della luna sale a bordo. Notturno appuntamento col destino, quanto lontano andrà la loro corsa? Certo col mio ronzino non li posso seguire! Vai, fanciullo, anima pura vai per il tuo tracciato della notte accanto ai tuoi compagni di ventura! Quella carrozza di vetro e lamiere che con gesto deciso ti ha raccolto e non si ferma ai segnali d’arresto forse trasporta personaggi arditi, monaci combattenti o messaggeri con un lasciapassare altolocato… Lode alla vostra corsa, allora, amici, all’anima che osa, al duro fato che avete scelto, valorosi ignoti, senza paura in questo mondo nuovo dove un po’ sbigottito ora mi muovo. Se il mio cavallo non vi tiene dietro è perché ho altrimenti da guardare: diverse le virtù da riverire, altre le verità da rivelare a passo di cavallo, eh Ronzinante, incoronato di solennità, che trotti lento nella notte oscura? Ma a un tratto il buio si fa scintillante: brillante come lucida saetta lo zolfo delle insegne mi rivela di colpo una bellissima figura ferma sul marciapiede come statua, la creola principessa dell’Etiopia la regina di Saba, ebano e oro! Do di freno alla mia cavalcatura mi disarciono con slancio elegante e le rivolgo tosto la parola: “Da dove provenite, o mia Signora, brunita ed aggraziata meraviglia, non si confà la strada ad ospitarvi… Dite se e come potrei mai aiutarvi, chiedete e quanto posso vi darò!” “Cinquanta in bocca, normale fa ottanta e cento dietro sempre con il guanto”, mi risponde l’esotica pulzella. Io mi vergogno, ma non ho capito. Non posso allontanarmi come un sordo, provo a ripresentare la mia offerta: “Vi offro la mano mia salda e possente, dama africana di immenso lignaggio ma mi sfugge la chiave dell’idioma da voi parlato; svelate pertanto la chiara grazia della vostra lingua ed io vi porgerò tutto il mio braccio”. “La lingua son cinquanta, ti ho già detto ma no fist fucking, bello, niente braccio”. E poi è accaduto il più tremendo incanto… Nei sogni delle Indie, a Trebisonda, là dove il sole matura dei frutti di forme e di dolcezze sconosciute e la luna è più grande di un veliero e l’oceano trabocca di sirene, là dove fantasia non ha l’uguale, né alcunché che la freni, in tutto il mondo, neanche là si produsse un tal portento! Quella bruna Cleopatra si accostò di un passo a me; un sorriso disarmante brillava sul suo corpo di gigante ben raro in donna di tanta bellezza. Un succinto abituccio la copriva filato in oro fino e perle rare eppure corto e stretto come certo non si addirebbe a una nobile dama: ma tanto pura era la sua sembianza che si ammendava di ogni stravaganza. La bella afferrò i lembi della veste di qua e di là con le sue lunghe mani e in un sol movimento repentino come un sipario li divaricò mostrando le sue grazie naturali: ne balzò fuori un membro sì asinino che anche il mio Ronzinante ebbe spavento e partì in un galoppo da campione trascinandosi dietro il suo padrone. Ora, il mio ragionare non si placa se non pensando ad un malvagio scherzo di incantatori dalla cruda beffa, come quando la bella del Toboso, la Dulcinea che tanto ebbi a servire, fu trasformata per il mio dileggio in contadina rozza e assai volgare. Il Male che oltrepassa luoghi ed ere e si ripete a circolo, figura tanto cangiante eppur fissa e perenne come me stesso dentro l’armatura, il Male che riflette nel suo ghigno tutta l’umanità che non ha cura, ha replicato quinci il suo copione. Potessi, alla terribile legione dei demoni cornuti e sputafuoco, dare definitiva punizione! Per trovare la pace, finalmente, per vedere ultimata la missione che dall’alto mi venne destinata. Ma così non sarà, mio Ronzinante, fedele amico, nobile animale, mia statua equestre di muscolatura, maestoso, senza un’ombra di paura… Tu mi accompagni, io ti proteggerò potrai mangiare la migliore biada, anzi… li vedi al bordo della strada quei ciuffi d’erba in mezzo alle carrozze? Ti meriti una sosta al ristorante! Sorrido della mia graziosa celia e guardo il buon cavallo che si nutre. Ancora non lo so, né saprò mai dove il destino mi ha catapultato, non resta che scherzare e battagliare, ormai sarei perfino rassegnato, se questo verbo avesse per me un senso. In questa terra niente mi somiglia e tuttavia continuo la mia impresa perché quello che sono l’ho ben saldo: non mischio somiglianza a identità. Ma quel che vale per l’anima umana può ben trarre in inganno su altre cose. Esempio: queste lande in cui mi aggiro son colme di stranissime vetture che per analogia chiamai carrozze. Non è preciso, però, non è vero. Sono in realtà minuscoli abitacoli che ad ogni ora riempiono le strade sia silenziose e ferme in lunghe file sia roboanti con persone dentro. In questa guisa corrono più forte di ogni cavallo, anche di una biga, e di notte si accendono di luci. Vuote son ferme e fredde, dure e chiuse hanno vetri che mostrano un interno sinceramente privo di attrattive. Forse sono creazioni del Maligno, “macchine”, allora, ecco un nome adatto… Mentre decifro a poco a poco tutto, il Cielo nuovamente mi comanda di riparare un torto, e guarda caso è proprio su una macchina nefanda! Si sta svolgendo una colluttazione, un uomo schiaccia il capo ad un fanciullo che riconosco: ha il nobile sembiante dell’efebo slanciato… Io già ti vidi, ardito giovinetto, già all’inizio di questo mio ritorno all’avventura! Là dove prima viaggiavi nel lusso di una gran compagnia di altolocati ora sei in mano di un losco bandito che suda e geme e ti affossa il bel viso. Ma – bizzarria! – la macchina è la stessa. Un altro inganno del padre del Male… Finale di partita, mascalzoni! Con rincorsa furiosa do di stocco contro la brutta cosa di lamiera. “Cazzo fai? Vuoi sfasciarmi la portiera? ‘Sto deficiente… Mo’ scendo e ti schianto”. Nuovamente mi lancio a un altro attacco, ma neanche ora riesco a fare breccia la macchina è più dura dell’acciaio; però sei in salvo, limpida creatura, più non temere, sto per liberarti. Allora alza il bel capo il giovinetto forse vuol dirmi “grazie”, o forse “aiuto!”, agita il pugno, non riesco a sentire, esprime tutto il suo onore ferito… “Ma guarda questo pezzo di cretino… e lasciami finire il mio pompino!”. Oscena anima umana, acre natura, che in nome di un effimero piacere rinnega un cavaliere di ventura! La delusione, figlia del Demonio, arriva ratta e ignobile a sfiorarmi. Ma non son nato, io, per scoraggiarmi e scaccio forte l’amaro pensiero, e in groppa a Ronzinante mi allontano verso i miraggi del bello e del vero. Il sogno non mi lascia, non demorde: a colpi di fendente nella notte inseguirò visioni straripanti annienterò i rimorsi ed i rimpianti sarò cantore degli amori puri. Crolla il teatro ma che me ne importa, fedele al sogno mio che mi ha redento a un’illusione di carne e di fuoco riparatrice dei mondani inganni, io son tornato e ancora tornerò – senza corpo a scornarmi con il vento.Anna Lamberti Bocconi
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