

Quando si viene a conoscenza di un’infedeltà (di ciò che colloquialmente, con poca fantasia, si chiama cosí), ci si concede di montare in collera sul momento, di prendere a calci l’infedele, di buttarlo fuori di casa e di chiudergli le porte. Ci sono persone molto orgogliose, o forse puritane e integerrime, che portano questo atteggiamento fino in fondo. Ma quasi tutti, dopo l’accesso di furia, cominciano a pregare dentro di sé che sia stata una cosa veniale, una velleità, un capriccio dovuto a un momento di noia, di vanità, di obnubilazione temporanea; che non sia nulla di serio, tale da escludere del tutto la parte tradita, come si suol dire, di sostituirla e usurpare il suo posto.
Questa reazione non solo è dettata dal bisogno di conservare ciò che si è ottenuto e ancora si possiede – la paura del vuoto e l’enorme fatica di ricominciare da zero ?, ma consente anche il vantaggio di far sentire l’altro in debito. Chi rimane al fianco del traditore, chi decide di ignorare il tradimento, avrà sempre la facoltà di mostrare la cicatrice e di recriminare, anche solo con lo sguardo, o con il passo, o con il modo di respirare. O con quello di tacere, soprattutto quando non c’è motivo di tacere e il coniuge si chiederà: «Perché non risponde, perché non dice niente, perché non alza gli occhi? Starà rivivendo quello che è successo?»
Javier Marias


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