Tutta la storia della vita delle donne è piena di silenzi, di grida disumane, a volte, ma più spesso di silenzio, il silenzio delle vittime e delle parole bugiarde, della forza che si espime in parole altrettanto bugiarde sulla acquiescenza e soprattutto la necessità delle vittime.
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L'altra parte del cielo non è stata forse assunta alla dignità della «voce» solo per-ché ha consegnato questa voce alla perenne dittatura dell'uomo e questa voce, che ora essa usa, è quindi di nuovo vin-colata ai vecchi patti del silenzio sul dolore delle vittime? Per accettare in pieno, come vorrei, l'affermazione che le donne, almeno occidentali, hanno trovato una voce e la usano davvero al femminile, secondo regole nuove, alte regole del vi-vere, le sole degne, dovrei essere sicura che questa pretesa parte del cielo non sia ancora semplicemente la parte del vecchio uomo.
Lo temo, perché le donne che emergono, in ogni paese dell'occidente, presentano programmi riguardanti unicamente il corpo della donna e il diritto al benessere e alla felicità del corpo, al suo trionfo direi. E questo non mi pare nuovo, tranne che nell'estensione del fenomeno, mi sembra di riconoscervi qualcosa che è sempre stato, e sempre è stato gradito all'uomo e che divide con l'antico una stessa tetra caratteristica: l'assenza di voce (dico di voce nuova, di voce umana) l'assenza di qualsiasi rivoluzionaria visione del mondo.
Nella voce delle donne, almeno oggi, io vedo l'obbedienza di ieri alla loro natura, ai loro uomini, al loro privatissimo e gioioso potere. E continuo a domandarmi: su cosa vive, di che si alimenta questo potere? Vive come nel passato, con la differenza che ora gestisce apertamente il proprio essere e avere, ma nel passato, sul silenzio delle vittime: la natura e il mondo. Crederò alla inviolabilità del corpo femminile, quando la donna avrà proclamato l'inviolabilità della natura, del mondo e si batterà per essa. Finora io non vedo che cose vecchie. Vecchio l'uso e l'abuso del corpo, il suo scadimento a merce, vecchie le bugie sull'amore, vecchia l'obbedienza ai costumi dell'uomo, vecchio il matrimonio (intollerabile, ma sempre considerato un dogma, il destino biologico della donna),
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Alimentarsi, vestirsi, sfruttare ogni occasione e possibilità per portare un piacere a se stessi, vivendo sullo sfruttamento e l'uso efferato degli animali, il disconoscimento perenne del loro dolore, non sembra una colpa o un reato alla donna. Essa ha una voce, si dice; scrive libri, li pubblica, di lei si parla; pensa e ottiene delle leggi a suo servizio. La natura e la vita muoiono; e passano ai grandi mercati; solo la donna, la donna occidentale, resta splendida come una statua, intatta sui menati della vita.
Siamo ancora in attesa, dunque, dell'altra parte del ciclo. Quando questa pane avrà una voce, una sua filosofia, quando la donna si sveglierà e riconoscerà che solo il cielo vero, i fiumi, le foreste, il corpo dei bambini, tutti i gioielli della natura, so-no veramente inviolabili, che uomo e donna non sono padroni della vita, ma figli e che occorre rispetto e compassione della natura, prima ancora che delle ideologie, se si vuole continuare a vivere sulla terra, a veder vivere la terra e se si vuole che questa non debba trascinare, nella sua caduta, anche il vincente, glorioso corpo umano; solo a questo punto si potrà dire che la donna ha rotto il silenzio.
La parola, prima che suono emergente tra i suoni della natura, non può non esse-re che il grido della natura stessa, là dove la bontà, che è ragione, non è giunta, e la Forza posa il suo piede. Non può respirare se non a servizio di questa straziata natura. Non può scrivere sul suo sigillo segreto, quello che ha scritto un certo principe straniero sul suo stemma: «io servo!». Non dire: «mi servo», se hai voce. Ma chiedi alla tua voce di servire. Saprai allora che la tua voce è nuova e se l'attende un'aurora... o la notte di sempre!
Anna Maria Ortese
Il silenzio della donna
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