Salvatore Natoli
Sicuramente nella dimensione dell'attimo cade l'esperienza del tempo. Ci si sente divini. Quando gli antichi greci affermavano che gli dei fossero felici, la parola che essi usavano era reia zoontes, cioè vivono scorrendo (rei vuol dire "scorrere"), ossia senza ostacolo. Il tempo fluisce in un modo così uniforme da non permettere la percezione del suo continuo spezzarsi.
Ecco perché il tempo, psicologicamente, si allarga. Perché esso è continuo, in esso non c'è elemento di rottura. Ecco nella effusività, nel "grande abbraccio" con l'universo circostante il tempo si ferma. E' il tempo ad introdurre la caduta. Baruch Spinoza, un grande filosofo, ebreo olandese, affermò: poiché in variatione vivimus, poiché "noi viviamo nella variazione", ci sentiamo più o meno felici a secondo che cresciamo o diminuiamo. Ne segue che il tempo, di per sé, non produce infelicità, ma può cambiare la natura dell'essere felici.
E allora si passa dalla immagine del Bacio di Klimt, ossia l'estasi dell'istante, all'immagine del lievito sulla madia, che lievita gradualmente. Nel tempo tutti i momenti devono essere funzionali alla crescita, al conquistare il tempo col tempo.
Ecco perché la felicità, quella vera e profonda, può appartenere solo ad una vita intera, perché, se noi pretendessimo l'attimo, incontreremmo la morte.
Soltanto quando l'attimo ricade nella vita, come il lievito, la vita può crescere attraverso gli attimi. Ecco perché l'attimo non può essere preteso. Ma cresce anche attraverso il resto: alle nostre abilità, alle nostre virtù, alla capacità di modulare l'esistenza, al reciproco dono che ci scambiamo con il nostro vivere: tutti questi sono meccanismi che fanno crescere la vita.
E perfino il dolore la può far crescere. Ecco allora perché l'attimo può essere atteso, ma non può essere preteso, e perché il tempo può essere, da noi, fecondato. Dovremmo sempre tenere presente nella nostra mente questa "doppia faccia" della felicità.
Salvatore Natoli
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