Czeslaw Milosz
In sé la poesia è qualcosa di sconveniente:
esce da noi e non sapevamo che ci fosse,
dunque sbattiamo le palpebre, come se da noi fosse balzata
fuori una tigre, e stesse nella luce,
colpendosi i fianchi con la coda.
Ars poetica
Sempre ho desiderato una forma più capiente, che non fosse troppo poesia né troppo prosa e permettesse di capirsi senza esporre nessuno, né autore né lettore, a pene di più alto grado. In sé la poesia è qualcosa di sconveniente: esce da noi e non sapevamo che ci fosse, dunque sbattiamo le palpebre, come se da noi fosse balzata fuori una tigre, e stesse nella luce, colpendosi i fianchi con la coda. Perciò si dice giustamente che un dàimon detta la poesia, pur se è eccessivo ritenere che sia di certo un angelo. Difficile capire donde venga l’orgoglio dei poeti se si vergognano quando traspare la loro debolezza. Quale uomo assennato vorrà darsi in balìa dei dèmoni che si muovono in lui liberamente, parlando mille lingue, e non paghi di rubargli labbra e mano tentano di mutare a proprio vantaggio il suo destino? Poiché ciò ch’è morboso è oggi stimato, qualcuno penserà che scherzo solamente o che ho scoperto un altro modo per lodare l’Arte tramite l’ironia. Un tempo si leggevano soltanto saggi libri che aiutavano a sopportare il dolore e la sventura. Non è lo stesso, certo, sfogliare mille opere provenienti da una clinica psichiatrica. Ma il mondo è altro da come a noi appare e noi non siamo come nel nostro farneticare. La gente dunque conserva una tacita onestà, acquisendo così la stima di parenti e vicini. È questa l’utilità della poesia, che ci ricorda com’è difficile restar sempre gli stessi, perché la nostra casa è aperta, non c’è chiave alla porta ed entrano ed escono ospiti invisibili. D’accordo, quello che scrivo qui non è poesia. Poiché poesia si può scrivere di rado, e non di propria voglia, per coerzione intollerabile, e con la sola speranza che buoni, non cattivi spiriti ci abbiano come strumento. (Traduzione di Valeria Rosselli)Czeslaw Milosz
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