venerdì 25 marzo 2016

1.2.4. Immaginazione e irrealtà


L' attesa amorosa - IV
1.2.4. Immaginazione e irrealtà

Ogni attesa d’amore si connota per una spiccata propensione allo sviluppo dell’immaginazione, della rêverie, della fantasticheria. L’innamorato che attende non conosce strumenti più efficaci dell’immaginazione per sanare, se pur in modo ingannevole ed effimero, l’assenza della persona amata. Durante l’attesa, l’innamorato “manipola” l’oggetto del suo amore, dandogli un volto, un carattere, delle intenzioni, delle parole, che difficilmente corrispondono a un’effettiva realtà. Lo stesso oggetto dell’attesa, baricentro fondamentale della dinamica amorosa, può rivelarsi, in realtà, nient’altro che un oggetto immaginato: chi è mai Albertine per il Narratore se non il prodotto della propria immaginazione? Non è un’Albertine irreale, evanescente, quella che il Narratore effettivamente aspetta? La persona attesa sembra non essere dotata di una propria oggettività: la sua immagine è legata, per sua stessa natura, alla soggettività di chi la pensa.

Talvolta l’immaginazione di chi aspetta non soltanto modifica nella memoria i tratti della persona attesa, ma può addirittura far diventare oggetto della propria attesa una persona che ne è del tutto inconsapevole, come accade nel caso del romanzo di García Márquez di cui ci si occuperà più avanti. In altri casi, invece, il potere dell’immaginazione legato a una situazione di attesa può essere tale da determinare da solo il sorgere di un amore: non ci si innamora forse prima di tutto dei propri pensieri, delle proprie fantasticherie, dell’immagine mentale che si è costruita dell’altro pensando a lui in sua assenza? Il momento dell’attesa, che si presta in modo particolare allo sviluppo senza freni dell’immaginazione, diventa allora il punto di svolta per il sorgere di un amore – non c’è amore senza almeno un episodio di attesa – ma anche per il suo risorgere, grazie allo stacco che il tempo anomalo dell’attesa riesce a creare nella routine di un tempo altrimenti sempre uguale. Come suggerisce Gaston Bachelard nella Dialettica della durata, l’attesa, stimolando l’immaginazione e ponendo l’amore in relazione con la dimensione del tempo, può restituire il fascino della novità anche al più fedele degli amori.

È sufficiente amare abbastanza, temere tutto, attendere nella più folle delle inquietudini, affinché ciò che tarda appaia d’improvviso più bello, più certo, più attraente. L’attesa, scavando il tempo, rende l’amore più profondo. Essa colloca l’amore più costante nella dialettica degli istanti e degli intervalli. Rende a un amore fedele il fascino della novità. Allora gli eventi ansiosamente attesi si fissano nella memoria; assumono un senso nella nostra vita.

Se è vero che ogni esperienza di amore si colloca sulla linea di confine tra le tre sfere del simbolico, dell’immaginario e del reale[23], nell’attesa il piano dell’immaginazione può però rischiare di prendere il sopravvento su quello della realtà. Colui che aspetta è affetto da una forte mancanza di senso delle proporzioni: un’attesa anche breve e banale può essere sentita come un problema esistenziale, un arco di tempo limitato essere vissuto come se si trattasse di un’eternità. Un eccessivo abbandono all’immaginazione può comportare, in questi casi, un progressivo distacco dalla realtà e finire per assomigliare, in modo sempre più inquietante, a uno stato di allucinazione. L’arrivo o il ritorno della persona amata è creato e ricreato nella mente di chi attende per un numero di volte potenzialmente infinito e con una tale dovizia di particolari da rendere difficile distinguere tra persona reale e fantasma. L’attesa amorosa può muoversi, dunque, in base al grado di immaginazione che vi entra in gioco, tra i due estremi opposti dell’innocua rêverie e dell’allucinazione patologica. In questo secondo caso, suggerisce Barthes riportando ancora una volta l’esempio del telefono, l’attesa diventa un vero e proprio delirio.

Elisabetta Abignente L’attesa amorosa
in Le parole e le cose link esterno





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