lunedì 21 marzo 2016

Non ti muovere

L' attesa amorosa - II
1.2.2. Non ti muovere
 
L’innamorato che aspetta è immobile. Ne bouge pas! è il suo imperativo. Aspettare significa infatti rimanere in un luogo nell’attesa dell’arrivo, del ritorno o di un segnale da parte dell’altro. La persona attesa si muove, è un être de fuite, l’inafferrabilità è la sua cifra caratteristica. Chi aspetta, al contrario, non può muoversi perché rischierebbe di mancare proprio il momento, a volte del tutto imprevisto, in cui la sua attesa sarebbe potuta giungere a compimento.
 
L’attesa finisce dunque per assomigliare a «un’immobilizzazione ipnotica, un incantesimo»[10], dove la parola enchantement dell’originale, andrebbe intesa nella doppia accezione di sortilegio che ha il potere di pietrificare chi ne è vittima ma anche di stato di ipnosi che coglie chi è incantato da qualcosa o qualcuno e durante il quale si è costretti a restare immobili senza conoscerne il motivo: sarebbe allora più indicato ricorrere, in questo senso, al termine italiano “incantamento”.
 
L’immobilismo, che avevamo già individuato come uno dei tratti caratteristici dell’attesa di Penelope e che potrebbe in un certo senso trovare un altro suo archetipo nella Niobe della mitologia greca, pietrificata sul monte Sipilo nell’attesa vana del ritorno dei suoi sette figli uccisi da Leto[12], incontra una delle sue immagini letterarie più efficaci nella metafora del leone in gabbia, su cui avrò modo di tornare in seguito occupandomi dello spazio, in particolar modo proustiano, dell’attesa. Per avere conferma di quanto esso rappresenti uno degli aspetti costitutivi di ogni attesa d’amore basta volgere lo sguardo, però – suggerisce Barthes –, a uno dei topoi più moderni dell’attesa, che chiunque sia stato innamorato può riconoscere nella propria concreta esperienza biografica. Si tratta dell’immobilismo legato a quella che si potrebbe definire come la più novecentesca delle attese: l’attesa al telefono (precedente, certo, all’avvento della telefonia cellulare):
 
Il soggetto che attende: «non oso uscire, non oso muovermi per paura di…». Attesa al telefono (strumento che implica, in modo particolare, un’irruzione puntuale e tiene il soggetto alla mercé di una suoneria che può sopraggiungere in qualsiasi momento), che produce una serie ossessiva di divieti (di muoversi). Ossessiva perché può dettagliarsi all’infinito, fino all’inconfessabile: non uscire, non andare in bagno, non telefonare (per tenere la linea libera), soffrire se qualcuno telefona (perché tiene occupata la linea). […] L’Angoscia dell’Attesa, nella sua purezza, è stare seduti in poltrona, con il telefono a portata di mano, senza fare nulla
[Roland Barthes].
L’insistenza sull’immobilismo come uno dei tratti decisivi dell’attesa si rivela certo un utile criterio per distinguere l’attesa da altre dinamiche della relazione amorosa che potrebbero essere a prima vista confuse con questa: penso ad esempio ai riti di corteggiamento o alla conquista, che però presuppongono, come è chiaro, che l’innamorato prenda l’iniziativa, si sposti e “rincorra” l’essere amato in fuga. Porre l’accento sull’immobilismo dell’attesa non deve però far correre il rischio di assimilare l’attesa d’amore a uno stato di passività. Seppur costretto all’immobilità, il soggetto che aspetta non interrompe mai la propria attività: il suo stato di continua attenzione, la sua capacità di percezione non conoscono tregua. L’attesa è dunque un’immobilità inquieta. L’innamorato che aspetta è un leone in gabbia, è vero, ma è anche un gufo che, immobile sul ramo, non smette mai di spiare nelle tenebre.

Cfr. “Incantamento”: «Condizione di chi è incantato, attonito, imbambolato (Treccani); «Stato di assenza mentale provocato da una persistente distrazione» (Devoto-Oli). Una conferma verrebbe in tal senso dalle parole dello stesso Barthes che ragionando sulla figura dell’Enchantement, poi non pubblicata nei Frammenti, così precisava: «Prendere qui incantamento nel senso forte di cattura immobilizzante: essere tenuti immobili da qualcosa di invisibile, senza sapere perché (Barthes, Le discours amoureux, cit., p. 141). Ringrazio Ornella Tajani per il prezioso suggerimento.

Elisabetta Abignente L’attesa amorosa
in Le parole e le cose link esterno






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