Se si facesse un rendiconto del tempo che ci fa "passare" twitter a discapito della produttività sarebbe ostacolato e poi bandito
— Dani_ora (@_Ironica_1) November 1, 2015
«L’uso intenso del calcolatore, soprattutto se è collegato in rete, introduce nei ritmi di pensiero un coefficiente permanente di accelerazione e quindi di fretta. Non riusciamo piú neanche a sopportare un minimo di attesa dinanzi a un’operazione che stiamo facendo col computer. Il clock della mente, il suo controllo del ritmo e della velocità, è disturbato alla radice dal clock del calcolatore».
«Ogni attesa dinanzi ad un’informazione che cerchiamo ci sembra snervante, offensiva, mortificante. Il calcolatore ci ha insomma abituato ad un atteggiamento di urgenza permanente, ad un senso di accelerazione continua, che si è rapidamente diffuso a tutti gli aspetti della vita
La cultura digitale ci ha abituato a vedere cose che non esistono o che addirittura non possono esistere, cose che in natura non ci sono. Il virtuale, in fondo, è quel che non c’è, è il non-esistente simulato: in un certo senso, è addirittura il falso
Ora invece, tra la realtà e noi si è frapposto lo schermo – non importa se del calcolatore o della televisione. Si vede il mondo essenzialmente attraverso lo schermo. Lo schermo ci dà una varietà di rappresentazioni di qualcosa che ci sembra il mondo, ma il mondo che vediamo potrebbe non esserci affatto.
La percezione è andata in malora, con il senso di realtà, con la ricchezza degli oggetti “veri” e tutto il resto. La gente comune si è già arresa. L’attentato alle Twin Towers di New York, ad esempio, è stato visto da tutti come un film, come un immenso e straordinario effetto speciale cinematografico. È stato visto cioè non con gli occhi di una persona, ma attraverso gli occhi di uno spettatore». Questo significa che «dinanzi a taluni eventi non siamo piú capaci di guardarli come fatti. Li guardiamo come spettacoli. Non siamo piú in grado di dire “questo è vero e questo è falso
Raffaele Simone
Certo, uno degli aspetti dominanti della condizione umana di oggi, e di quella giovanile in particolare, è il rifiuto della solitudine, e l’incantamento per il digitale, nella illusione che i social network abbiano a riempire il vuoto nella vita; ma non c’è storia, non ci sono né passato né futuro, le due dimensioni fondamentali del tempo, in una condizione umana che non conosca la solitudine e il silenzio, e che ci allontani dalla nostra identità, e dal nostro destino.
Quale è il tempo della comunicazione digitale? Non è il tempo della agostiniana circolarità fra il presente, il passato e il futuro, ma è un tempo che vive in un presente intessuto di istanti, di frammenti, che sono gli uni accostati agli altri, gli uni staccati dagli altri, in un presente che non ha storia, non ha passato, e non ha speranze, non ha futuro, in un presente che è di volta in volta risucchiato nel flusso ininterrotto di comunicazioni che nascono e muoiono, rinascono e scompaiono, senza lasciare tracce durature nella nostra vita interiore e nella nostra memoria vissuta. Il tempo della comunicazione digitale, nelle sue vertiginose dissolvenze, non consente facilmente riflessioni e meditazioni, rielaborazioni e ripensamenti, che richiedono tempi distesi, pause e dilatazioni impossibili nei tempi veloci, anzi velocissimi, delle informazioni digitali. Queste compaiono per un attimo sullo schermo, e poi scompaiono, trascinando con sé risonanze sempre diverse, e non di rado le une in conflitto con le altre, le une inconciliabili con le altre. Il tempo digitale insomma scorre come acqua da una cascata, e lascia appena il tempo alla sua istantanea percezione, e alla sua conseguente sparizione.
Non è allora facile parlarsi in questo deserto.
Eugenio Borgna *** Parlarsi