domenica 1 novembre 2015

non sembrava un’amante felice, né affettuosa e neppure soddisfatta




Ma quel tizio ancora non lo vedevo, doveva essersi piegato anche lui, era sempre nascosto dalla testa di Beatriz incollata o vicinissima al vetro, lei non aveva aperto gli occhi neppure per un attimo. Adesso, vedendola di fronte, riuscivo a interpretare meglio la sua espressione, ammesso che ci sia qualcosa di interpretabile in quella di una donna in quel frangente, sono sempre congetture. Il suo volto risultava piú attraente del solito, la pelle piú tersa e come ringiovanita, le labbra piú carnose o spesse, come se invadessero zone estranee, e piú soffici e sfumate, piú rosse, semiaperte per lasciar sfuggire gli ansiti, magari anche qualche educato gemito (grida no, questo sicuro), le ciglia piú lunghe o piú visibili per aver preso il posto dello sguardo, era degno di nota che neppure una volta avesse alzato le palpebre, come se non volesse sapere dove si trovava. Ho visto donne non molto belle diventare bellissime in quello stato di semincoscienza, l’effetto non dura piú di quanto duri la scopata, per dire le cose volgarmente come stanno. Ma mi sembrava che non le importasse molto dell’uomo con cui era, forse c’era abituata, o nemmeno, forse era solo funzionale ai suoi scopi, come ho già detto di essermi sentito io qualche volta, è probabile che noi tutti, uomini e donne, abbiamo provato quella sensazione, e chi non l’accetta peggio per lui, non è un dramma e può offrire anche dei vantaggi, secondo i casi. «Il tipo ha resistenza, – pensai, – tra una cosa e l’altra è un pezzo che ci dà dentro», e mi fece perfino un po’ d’invidia, ero ancora troppo giovane per essere capace di adeguarmi, di trattenermi. Sono cose che imparai piú tardi, con la pratica e la presa di distanza e il ricorso a immagini vaganti.

Non avevo ancora finito di pensarlo che lui smise o eiaculò e allora lo vidi finalmente emergere, separarsi da Beatriz e tirarsi su, farsi indietro di due o tre passi e rimanere in piedi, alto com’era, diritto, con la sua gran chiostra di denti scoperta in un sorriso e gli occhi azzurri soddisfatti, non di una soddisfazione sessuale, come sarebbe stato logico, ma mentale, come se pensasse «Grandioso» o «È fatta» o – ancora piú puerilmente – «Gliel’ho ficcato tutto dentro», o un piú generico: «Alla mia età faccio ancora strage e la lista non smette di allungarsi»; come se il piacere non stesse tanto nel godimento fisico dell’atto sessuale ma nell’idea di averlo compiuto in un luogo inappropriato, fuori orario e con una donna sposata, moglie di un amico, anche se quell’amico non ne voleva piú sapere di toccarla e nemmeno di addentrarsi dove lui aveva frugato ed era penetrato. Portava un camice bianco da medico, come si confaceva alla sua professione; non lo avevo mai visto vestito cosí. Lo portava aperto e sotto aveva gli abiti di tutti i giorni, cravatta sulla camicia color avorio, la giacca doveva essersela tolta. Il dottor Van Vechten si era parecchio spettinato, il ciuffo gli si era sfatto con quelle spinte ritmiche, gli era quasi crollato, lo portava con la riga laterale, compatto e rialzato, da lontano sembrava avesse uno sfilatino di pane sulla testa, aveva i capelli dello stesso colore della crosta chiara del pane. Subito se li aggiustò con la mano, mentre Beatriz si staccava dalla finestra e apriva gli occhi – senza vedermi, non solo perché ero ben mimetizzato tra i rami, ma perché probabilmente non vedeva nulla, aveva lo sguardo opaco e assente di chi esce da un sogno o da uno stordimento o da un prolungato torpore – e si allontanava a passo lento e un po’ incerto verso il fondo della stanza, le giunture delle cosce forse aggranchite dalla posizione, probabilmente si dirigeva verso un bagno per rimettersi in sesto, lui doveva averle dato la precedenza.

Dopo un paio di minuti Beatriz tornò, non essendosi svestita, non doveva aver avuto molto da fare nel bagno. Lui ne approfittò per ritirarsi lui un momento, durante il quale lei si lisciò per quanto possibile la gonna e si ritoccò i capelli con le dita, poi prese la borsa, come se non vedesse il motivo di rimanere lí e dovesse andarsene subito. Toccata e fuga, mi parve una situazione di quel tipo: il minimo di chiacchiere prima, nessuna dopo. Probabilmente lui le gridò «Aspetta» dal bagno e lei posò di nuovo la borsetta, e rimase con un pugno sul fianco, impaziente. Quando il dottore riapparve ben pettinato – il consueto sfilatino gli coronava il cranio –, le andò vicino per dirle qualcosa, quasi all’orecchio. Beatriz fece di no con la testa, con una certa serietà, con convinzione. Certo non sembrava un’amante felice, né affettuosa e neppure soddisfatta, mi chiesi da quanto tempo quei due si vedessero in quel modo, o se magari fosse la prima volta, che è quasi sempre un po’ esitante e brusca – sotto la minaccia del pentimento immediato –; ma per un semplice calcolo delle probabilità lo giudicai impossibile; sarebbe stata una coincidenza sorprendente che la prima volta che la seguivo fosse anche il suo primo incontro di quel genere, e per di piú con il dottor Van Vechten, l’uomo di cui Muriel sospettava nefandezze passate e sul quale mi aveva raccomandato di fissare la mia attenzione. Lui le fece una carezza sulla guancia e lei spostò la faccia. «No, niente carezze», poteva avergli detto mentre scansava il gesto gentile di quella mano enorme. (E subito mi venne in mente la frase in francese, come se l’avessi letta da qualche parte: «Non, pas de caresses»). Ma non potevo sentire quello che dicevano

Javier Marias *** Così ha inizio il male



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