Giorgio Manganelli - (lettera a Viola Papetti )
Roma, 20 agosto ’68
Carissima Viola,
finalmente tue notizie; le due lettere sono arrivate insieme. Cominciavo a temere di partire senza sapere niente di te. Avevo anche ritardato la partenza, sperando di ricevere la tua lettera. Parto domani per Campobasso: credo che le nostre rimpatriate coincideranno.
Sono contento di poterti scrivere perché volevo dirti che mi manchi, che ti penso, e che ti desidero. Hai ripreso fiato? Rileggi: è tutto vero. Mi irrita la mancanza delle tue telefonate, dei tuoi gridolini di piacere, i tuoi languori e altre cose. Mentre ti scrivo ti desidero, e il solo fatto di rivolgermi a te mi scalda. Mi capita di guardare, dal mio letto, la porta di casa, quella che tu varchi quando vieni da me, per stare con me.
Mi irrita che tu sia a Londra mentre io sono a Roma; mi irrita che da quella porta tu non passi, l’ascensore non ti porta, non sento i tuoi passi, non penso a quello cui tu, in quel momento, stai pensando. Ho voglia della tua impudicizia, mi serve, la esigo. E la voglio per me solo, da pascià.
Sei una donna forte e dunque non sarai svenuta. Spero che questa lettera ti farà passare il malumore, o te lo farà venire, di un genere meno irto.
Penso a quando tornerai, al resto; tu lavora: io ho lavorato, in questi giorni, ora mi riposerò un po’, ne ho bisogno, ma continuerò a desiderarti e a pensarti anche nel Molise.
So che anche tu desideri il mio desiderio, e mi pensi per essere pensata.
E adesso, se ci riesci, va’ a leggere Frye, godi gli archetipi della Bodkin3. Se ci riesci: fa’ la filologa, studia la favola, leggi e scrivi Contributi. Mettiti gli occhiali, fa’ lezione, compulsa l’editio princeps. Io ti desidero. Sei incolta, senza occhiali, rudimentale e desiderabile.
A presto, a presto, a presto.
Ti bacio, e tu gemi.
Giorgio Manganelli
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