lunedì 19 giugno 2017

Persone interrotte


Quante volte sono stata interrotta
E tu
E tu
E tu
quante volte lo siamo stati?


 
Persone interrotte

Io troppe volte
Mi sono separata da me
 
E tu,
Tu quante volte hai dovuto?
 
E tu, invece,
Tuo malgrado?
 
Ho letto un giorno un libro
"La ragazza interrotta"
 
Il titolo mi fulminó
Noi tutti lo siamo stati
 
Quante volte sono stata interrotta
E tu
E tu
E tu
quante volte lo siamo stati?
 
Riuniamo questi pezzi
E incolliamo questi io, me, se e te
 
Che poi i pezzi
possono confondersi
e non ci rimontiamo più

D.N. 16/06/2017



Vermeer, Ragazza interrotta mentre suona
Avevo dei problemi con i motivi geometrici. Tappeti orientali, pavimenti piastrellati, tende stampate, cose di questo genere. Con i supermercati era particolarmente dura, per via dei lunghi e ipnotici corridoi a scacchi. Quando guardavo queste cose, al loro interno ne vedevo altre. La realtà si stava facendo troppo densa.
 
Vedevano tutti quella roba e facevano finta di nulla? La pazzia era solo questione di smettere di fingere? Cos’è che non andava nelle persone che non vedevano certe cose? Erano cieche, per caso?
 
Negare era la mia ambizione. Il mondo, denso o vuoto che fosse, provocava in me soltanto negazioni. Quando avrei dovuto stare sveglia dormivo, quando avrei dovuto parlare tacevo, quando mi offrivano qualcosa di piacevole lo rifiutavo. Tutte le mie armi - fame, sete, solitudine, noia e paura - erano puntate sul mio nemico: il mondo. Naturalmente al mondo non importava niente di loro, e loro infastidivano me, ma dalle mie sofferenze traevo una macabra soddisfazione. Dimostravano la mia esistenza. Sembrava che tutta la mia integrità consistesse nel dire

“Stavolta lessi il titolo: Ragazza interrotta mentre suona.
[...]
Interrotta mentre suona: com’era stata la mia vita, interrotta nella musica dei miei diciassette anni; com’era stata la sua vita, strappata e fissata su tela, un momento reso immobile per tutti gli altri momenti, qualsiasi cosa fossero o avrebbero potuto essere.
[...]
Quale vita può guarirne?”.
Susanna Kaysen, La ragazza interrotta,

 
E’ il 1967, Susanna ci va assieme al suo professore di letteratura inglese, con il quale comincerà di lì a poco una breve e scandalosa relazione. Resta immobile davanti a quel quadro, che secondo le enciclopedie d’arte raffigura la musica come allegoria del corteggiamento (lo testimonierebbe il Cupido dipinto sul fondo). Lei ci vede tutt’altro: una mano dispotica poggiata sulla sedia, quella del maestro-amante, e una fanciulla che l’ignora indolente, troppo impegnata a fissarla, a metterla in guardia da qualcosa, a chiederle di non farlo, di aspettare, di non andare via. Susanna ci vede premura in quello sguardo, una specie di monito silenzioso a lei rivolto; ci vede risposte a domande non fatte.

Chi decide cos’è bene e cos’è male; e quanto è bene, e quanto è male quello che ognuno di noi è per se stesso e di fronte al mondo? Chi decide se e quando e perché strapparci alla vita, alla nostra ricerca interiore che guai se non fosse sofferta, e certe volte può destare preoccupazione per le sue intemperanze, ma è pur sempre nostra e tale deve rimanere, almeno fin quando non diventi una minaccia per noi o per gli altri.
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