antologia montaliana ACCORDI (Sensi e fantasmi di una adolescente) 1. Violini Gioventù troppe strade distendi innanzi alle pupille mie smarrite: quali si snodano, erbite, indecise curve in piane tranquille, quali s’avventano alla roccia dura dei monti, o ad orizzonti vanno ove barbaglia la calura! Sono qui nell’attesa di un prodigio e le mani mi chiudo nelle mani. Forse è in questa incertezza, mattino che trabocchi dal cielo, la più vera ricchezza e tu ne innimbi tutto che tocchi! Occhi corolle s’aprono in me – chissà? – o nel suolo: tutto vaneggia e nella luce nuova volere non so più né disvolere. Solo m’è dato nel miracolo del giorno, o cuore fatto muto, scordare gioie o crucci, ed offrirti alla vita tra un mattinare arguto di balestrucci! 3. Violoncelli Ascolta il nostro canto che ti va nelle vene E da queste nel cuore ti si accoglie, che pare, angusto, frangersi: siamo l’Amore, ascoltaci! Ascolta il rosso invito del mattino Che rapido trascorre come ombra d’ala in terra; assurgi dal vivaio dei mortali d’opaca creta, ignari d’ogni fiamma. E seguici nel gurge d’Iddio Che da sé ci disserra, echi della sua voce, timbri della sua gamma! Come l’esagitato animo allora Esprimerà scintille che giammai Avresti conosciute!La tua forma Più vera non capisce ornai nei limiti Della carne: t’è forza di confonderti Con altre vite e riplasmarti tutta In un ritmo di gioia; la tua scorza Di un dì, non t’appartiene più. Sarai Rifatta dall’oblio, distrutta dal ricordo, creatura d’un attimo. E saprai i paradisi ambigui dove manca ogni esistenza: seguici nel Centro delle parvenze: (ti rivuole il Niente!). 4. Contrabbasso Codesti i tuoi confini: quattro pareti nude, da tanti anni le stesse; e in esse un susseguirsi monotono di necessità crude. Invano con disperate ali la tua fantasia corre tutto Il fastoso dominio della vita universa; non uscirai tu, viaggiatrice spersa, dai limiti del “Brutto”… 4. Flauti-Fagotti Una notte, rammento, intesi un sufolo bizzarro che modulava un suo canto vetrino. Non v'era luna: e pure quella nota aguzza e un poco buffa siccome una fischiata d'ottavino illuminava a poco a poco il parco (così pensavo) e certo nel giardino le piante in ascoltarla si piegavano ad arco verso il terreno ond'ella pullulava; e a questa ciarla s'univano altre, ma più gravi, e come bolle di vetro luminose intorno stellavano la notte che raggiava. Di contro al cielo buio erano sagome di perle, grandi flore di fuochi d'artifizio, cupole di cristallo e nel vederle gli occhi s'abbacinavano in un gran supplizio! Esitai un istante: indi balzai alla finestra e spalancai le imposte sopra la vasca sottostante; e tosto fu un tuffarsi di rane canterine, uno sciacquare un buffo uno svolìo d'uccelli nottivaghi; ed improvviso uscì da un mascherone di fontana che gettava a fior d'acqua il suo sogghigno, uno scroscio di riso soffocato in un rantolo roco che l'eco ripeté sempre più fioco. E allora il buio si rifece in me. 5. Oboe Ci sono ore rare che ogni apparenza intorno vacilla s’umilia scompare, come le stinte quinte d’un boccascena, ad atto finito, tra il parapiglia. I sensi sono intorpiditi, il minuto si piace da sè; e nasce nei nostri occhi un po’ stupiti un sorriso senza perchè. 6. Corno inglese ll vento che stasera suona attento - ricorda un forte scotere di lame - gli strumenti dei fitti alberi e spazza l'orizzonte di rame dove strisce di luce si protendono come aquiloni al cielo che rimbomba (Nuvole in viaggio, chiari reami di lassù! D'alti Eldoradi malchiuse porte!) e il mare che scaglia a scaglia, livido, muta colore lancia a terra una tromba di schiume intorte; il vento che nasce e muore nell'ora che lenta s'annera suonasse te pure stasera scordato strumento, cuore. Minstrels da C. Debussy Ritornello, rimbalzi tra le vetrate d'afa dell'estate. Acre groppo di note soffocate, riso che non esplode ma trapunge le ore vuote e lo suonano tre avanzi di baccanale vestiti di ritagli di giornali, con istrumenti mai veduti, simili a strani imbuti che si gonfiano a volte e poi s'afflosciano. Musica senza rumore che nasce dalle strade, s'innalza a stento e ricade, e si colora di tinte ora scarlatte ora biade, e inumidisce gli occhi, così che il mondo si vede come socchiudendo gli occhi nuotar nel biondo. Scatta ripiomba sfuma, poi riappare soffocata e lontana; si consuma. Non s'ode quasi, si respira. Bruci tu pure tra le lastre dell'estate, cuore che ti smarrisci! Ed ora incauto provi le ignote note sul tuo flauto. Mottetti, 20 . . . ma così sia. Un suono di cornetta dialoga con gli sciami del querceto. Nella valva che il vespero riflette un volcano dipinto fuma lieto. La moneta incassata nella lava brilla anch'essa sul tavolo e trattiene pochi fogli. La vita che sembrava vasta è più breve del tuo fazzoletto. Suoni Tutta la vita è una musica di sincopi. Non più il filo che tiene, non l'uggia del capo e della coda, ma la raspa e la grattugia. Così di sempre; ma dapprina fu raro chi se n'avvide. Solo ora l'ecumene ama ciò che la uccide. L’oboe Talvolta il Demiurgo, spalla di Dio e Vicerè quaggiù, rimugina su quali macchinazioni gli attribuiscano i suoi nemici, i fedeli al suo Dio perché quaggiù non giungono gazzette e non si sa che siano occhi e orecchie. Io sono al massimo l’oboe che dà il la agli altri strumenti ma quel che accade dopo può essere l’inferno. Un giorno forse potrò vedere anch’io, oggi possente e cieco, il mio padrone e nemico ma penso che prima si dovrà inventare una cosa da nulla, il Tempo, in cui i miei supposti sudditi si credano sommersi. Ma, riflette il Demiurgo, chissà fino a quando darò la mano (o un filo) al mio tiranno? Lui stesso non ha deciso ancora e l’oboe stonicchia. Suonatina di pianoforte Vieni qui, facciamo una poesia che non sappia di nulla e dica tutto lo stesso, e sia come un rigagnolo di suoni stentati che si perde tra le sabbie e vi muore con un gorgoglio sommesso; facciamo una suonatina di pianoforte alla Maurizio Ravel, una musichetta incoerente ma senza complicazioni, che tanto credi proprio a grattare nel fondo non c’è senso; facciamo qualcosa di “genere leggero”. Vieni qui, non c’è nemmeno bisogno di disturbar la natura co’i suoi seriosi paesaggi e le pirotecniche astrali; ne’ tireremo in ballo i grandi problemi eterni, l'immortalità dello Spirito od altrettanti garbugli; diremo poche frasi comunali senza grandi pretese, da gente ormai classificata, gente priva di “profondita’; e se le parole ci mancheranno noi strapperemo il filo del discorso per svagarci in un minuetto approssimativo che si disciolga in arabeschi d’oro, si rompa in una gran pioggia di lucciole e dispaia lasciandoci negli occhi un pullulare di stelle, un ossessione di luci. Poi quando la suonatina languirà davvero la finiremo come vuole la moda senza perorazioni urlanti ed enfasi; la finiremo, se ci parrà il caso, nel momento in cui pare ricominciare e il pubblico rimane con un palmo di naso. La spegneremo come un lume, di colpo. Con un soffio. Eugenio Montale fonte Eulaleia
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lunedì 9 novembre 2015
antologia montaliana
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