Javier Marias
di sicuro era soltanto questo ciò che io mi proponevo, uscire dal buio e smettere di tenere un segreto o conservare un mistero, forse anch'io ho a volte desideri di chiarezza e probabilmente di armonia.
Ho raccontato.
Ho raccontato.
E raccontando non ho provato la sensazione di uscire dal mio incantamento da cui non sono ancora uscito e forse non uscirò mai, ma di cominciare a mescolarlo con un altro meno tenace e più benevolo.
Colui che racconta di solito sa spiegare bene le cose e si sa spiegare, raccontare è come convincere o farsi capire o far vedere e così tutto può essere compreso, anche le cose più infami; tutto perdonato quando c'è qualcosa da perdonare, tutto tralasciato o assimilato e anche compatito, questo è avvenuto e bisogna conviverci quando sappiamo che è stato, trovargli un posto nella nostra coscienza e nella nostra memoria che non ci impedisca di continuare a vivere perché è accaduto e perché lo sappiamo.
L'accaduto è perciò sempre molto meno grave dei timori e delle ipotesi, delle congetture e delle supposizioni e dei brutti sogni, che in realtà non introduciamo nella nostra conoscenza ma che mettiamo da parte dopo averli sofferti o dopo averli considerati momentaneamente e perciò continuano a suscitare orrore a differenza degli eventi, che diventano più lievi per la loro stessa natura, cioè, appunto perché sono dei fatti: dato che ciò è successo e lo so ed è irreversibile, ci diciamo rispetto a quelli, devo spiegarmelo e farlo mio o fare sì che me lo spieghi qualcuno, e la cosa migliore sarebbe che me lo raccontasse esattamente chi si è incaricato di farlo, perché è lui che sa.
Ma se si racconta si può perfino entrare nelle grazie, questo è il pericolo.
La forza della rappresentazione, immagino: per questo ci sono accusati, per questo ci sono nemici che si assassinano o si giustiziano o si linciano senza lasciarli dire una sola parola - per questo ci sono amici che si mandano in esilio e si dice: «Non ti conosco», o non si risponde alle loro lettere -, affinché non si spieghino e possano all'improvviso entrare nelle grazie, quando parlano mi calunniano ed è meglio che non parlino, anche se nel tacere non mi difendono.
[...]
E' chi racconta che decide di farlo e anche di imporlo e chi si scopre o confessa e decide quando, di solito quando è ormai troppo grande la fatica che portano il silenzio e l'ombra, è l'unica cosa che spinge a volte a raccontare i fatti senza che nessuno lo chieda né nessuno se lo aspetti, non ha niente a che vedere con la colpa né con la cattiva coscienza né con il pentimento, nessuno fa niente credendosi miserabile nel momento di farlo se sente la necessità di farlo, soltanto dopo arrivano il malessere e la paura e non vengono poi molto, è più malessere o paura che pentimento, o è più stanchezza.
Domani nella battaglia pensa a me
Javier Marias
You might also like:
- Un cuore così bianco (romanzo di javier Marias)
- Così ha inizio il male (romanzo di javier Marias)
- Domani nella battaglia pensa a me (romanzo di javier Marias)
- saggi di Javier Marias
- Tacere, parlare, ingannare.....
- Tutte le anime
- le letture del blog (citazioni di libri presenti nel blog)
Nessun commento:
Posta un commento
commenta questo post