

Recensione del libto di Irene di Caccamo
di Federica De Paolis
Questo romanzo di Irene di Caccamo, Dio nella macchina da scrivere (La Nave di Teseo), è la storia di Anne Sexton. La poetessa – forse la più nota della storia americana del secondo novecento – insieme a Sylvia Plath. Scritto in prima persona, ripercorre infedelmente una forbice di anni, intercorsi tra un suicidio mancato e quello definitivo.
Anne è sposata, ha due figlie, è una donna di una bellezza abbagliante, borghese, elegantissima, immensamente depressa. Sposa e madre, eternamente figlia. Inizia una terapia con uno psichiatra, il dottor O.: sedute e pasticche; stabilizzatori dell’umore, antidepressivi, sonniferi.
È lui che le suggerisce di scrivere, la poesia può essere una forma di terapia ma anche una via d’uscita, la ricerca dell’identità mancata. Le parole arrivano subito, Anne compone versi e strofe; è un flusso nuovo e continuo. Partecipa a un gruppo universitario, carteggia con un poeta, si confronta la sua miglior amica Maxime. La scrittura invade tutto, diventa ragione di vita. Il marito cerca di dissuaderla ma è costretto ad accettare: arrivano le pubblicazioni, i soldi, i premi, i reading e infine il Pulitzer, eppure – nonostante l’immenso plauso ricevuto – Anne, non fa che scivolare e rialzarsi dai suoi giorni bui, dalle voci nere, dalle ossessioni e dai pensieri sulla morte.
Salvata perduta e cado.
Scritto come se fosse quasi un diario, Irene di Caccamo inventa nomi e ne mantiene altri, tradisce eventi, li rispetta e immagina, il risultato è una voce di un’autenticità assoluta, che racconta come una partitura musicale, un susseguirsi di giorni, che hanno tutti la stessa faccia.
Come una spirale, veniamo risucchiati nella mente della Sexton e nella sua quotidianità che è come un otto volante di rapporti contraddittori con le figlie, pillole, drink, sedute psicanalitiche, fiumi di lettere, un’irrefrenabile desiderio sessuale, un ricordo confuso di abusi, un marito che l’adora, detesta e picchia (amore, odio e riparazione: una coazione perfetta per la Sexton), gli amanti, la ricerca delle parole, l’insicurezza ma anche la forza: un’ostinazione assoluta per la poesia.
La maschera come forma di difesa che s’incancrenisce fino alla confusione, il corpo come pozzo infinito di desiderio: violato, usato, indiscusso. È un libro che si legge tutto d’un fiato, accurato e profondo: lo spaccato di una società – la middle-class americana – un momento storico di ferventi attività culturali, un susseguirsi di paesaggi, cieli vuoti e pieni che si accordano all’interiorità incredibilmente indagata, di questa eroina della poesia contemporanea.
Una scrittura dolente e sì, poetica, intima, psicanalitica. Alla fine (straziante) si resta con la voglia di rileggere tutta la poesia della Sexton, ora così illuminata e fortemente svelata dal prezioso occhio di Irene di Caccamo.
Federica De Paolis


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