sabato 21 febbraio 2015

Perché mi fate piangere


Sento in fondo all’anima una specie di fiera tristezza, per aver saputo essere crudele con me e forse — perdonami — anche un po’ con te...

Io provo una soddisfazione speciale quando rifiuto qualche bella felicità che m’offre il Destino. E quale felicità, Amica mia!
Guido Gozzano

Perché mi fate piangere, Guido, perché mi fate rimpiangere quel poco che v’ho dato di me? Non dovevo venire con Voi quel giorno per soffrirne dopo, così, per vedermi tolta anche la piccola dolcezza di sentirvi qualche volta vicino. E così poca cosa la vita e così breve per negarci qualche poco della sua bellezza per tormentarci volontariamente anche quella piccola parte di bene che ci concede?

Voi vi dite corazzato anzi insensibile ad ogni ferita. Io no, mio dolce Amico, o vi voglio bene e soffro crudelmente di sentirvi tanto lontano. Mi pare di trovarmi più sola in quest’ombra grigia di banalità che ci circonda, sento d’aver smarrito qualche cosa di più leggero, di più chiaro, di più elevato, l’amico che mi comprende, il fratello che sogna i miei sogni e gioisce della mia gioia, la tenerezza che blandisce e riscalda il cuore.

Io non voglio che tu mi sfugga, Guido, io non voglio che tu mi segua di lontano come un estraneo, che tu mi riveda ancora un giorno lontano quando forse i miei capelli non saranno più tanto bruni e la mia bocca fresca e i miei occhi lucenti.

Lascia ch’io ti dica tu come un compagno, ch’io non senta fra noi il gelo di quella parola dura.

Io ti sono compagna ora senza tremori e senza fremiti, sorella della tua anima.

Io ti saprei baciare la fronte con un sorriso sereno come si bacia un bambino. No, noi non abbiamo ancora sepolto nulla di noi stessi. Io sono per te come il primo giorno che ti vidi, non sazia, né stanca, né oppressa dalla più piccola parte di te. Sei nuovo e fresco al mio spirito come allora che m’eri ignoto.

Ogni tua parola è come una piccola luce che ti rischiara un momento e ch’io guardo risplendere con gioia nuova ogni volta che tu parli.

E un senso strano ch’io non so dire, ma che non ho mai sentito per altri, una malia, quasi, che è credo, una occulta profonda fraternità, un oscuro legame spirituale che ci unisce anche nostro malgrado. Ma tu non provi questo fascino, lo so, poiché mi respingi dopo alcune ore di comune vita, mi allontani con un gesto che mi pare un urto di disdegno. Forse io non sono stata con te, quel giorno, quella della tua attesa.

Fui rude, lo ricordo, violenta anche. Ma quale contrazione, quale ribellione era in me, allora, davanti a quel nuovo tu che lottava contro la mia volontà aspra di solitaria! Ma ricordo anche un momento di chiara dolcezza, il mio volto chinato sul tuo, le mie labbra parlanti con franca umiltà di cose umili e nascoste. Ma come puoi non volermi bene se mi rivedi ancora in quell’atto? Nessuno, ti giuro, mi ha mai veduta così spoglia d’orgoglio, così vestita di pura tenerezza.

Tu solo che non mi ami, tu solo che mi sfuggi.

Scrivimi che ci vedremo ancora quando e come il destino lo vorrà, semplicemente, come due amici buoni che la fedeltà riconduce tratto tratto l’uno all’altro. Ho bisogno di sentirti parlare, di te, di me, de’ tuoi e dei miei sogni, del tuo e del mio avvenire, di tante cose piccole e grandi e vane. E’ così buona l’amicizia ed io non ho amiche vere, non ho forse amici veri, non mi sento legata che a te.

Non voglio che ci cerchiamo con l’ansia del desiderio, ma che ci vediamo naturalmente come vogliono le vicende della nostra vita. Non farmi ancora piangere e rimpiangere, Guido, dammi ancora le prove e se vuoi qualche segno di bontà in cambio di tutta la mia tenerezza. Vieni a dirmi addio prima di lasciare Torino. Ci sapremo stringere le mani con dolcezza ma senza fremito. Verrai? Non dirmi, non dirmi di no...

lettera di Amalia Guglielminetti a Guido Gozzano - 24 marzo 1908

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