sabato 18 luglio 2015

la madre del cuore atomico



Testimonianza quarta John Aldiss

Mi chiamo John Aldiss, fondatore e direttore di uno dei più qualificati cori classici del Regno Unito, il John Aldiss Choir. Ho trascorso tutta la vita a dirigere musica rinascimentale e barocca, ma probabilmente passerò alla storia come il direttore di Atom heart mother. Atom heart mother, per intenderci, è l'album dei Pink Floyd universalmente noto come l'album della Mucca.

Ecco com'è andata.

A differenza del primo, il secondo tour americano dei Pink Floyd fu un grande successo. Ancora più trionfale fu la lunga tournée inglese del '69, coronata da un concerto alla Royal Albert Hall insieme alla Royal Philharmonic. Questa consacrazione andò di pari passo con l'abbandono della nomea di gruppo underground: immagino che l'allontanamento di Barrett abbia facilitato la trasformazione, con buona pace dei puristi della prim'ora. Contestualmente, i loro spettacoli divennero sempre più teatrali, con complesse scenografie, decine di comparse e rutilanti giochi di luci. Non c'è da stupirsi che per questa via gli ambiziosi giovanotti arrivassero a concepire un brano per coro e orchestra. La Royal Philharmonic li aveva solo accompagnati: adesso si trattava di comporre un brano originale che coinvolgesse una cinquantina di elementi, e vi assicuro che non è la stessa cosa. Waters si rivolse a Ron Geesin, un compositore molto raffinato, incaricandolo di mettere insieme un'orchestra: i primi screzi si ebbero quando Geesin si rese conto che secondo i Pink Floyd l'idea di orchestra corrispondeva a una ventina di ottoni e poco più… Per il coro Waters voleva “il meglio”, e Geesin, bontà sua, gli fece il mio nome. Non so però se per me sia stato un grande affare, perché per l'intera realizzazione di quel lunghissimo brano il mio compito principale è stato mediare fra Waters e Geesin, in disaccordo pressoché su tutto (a partire dal fatto che Geesin, cosa che Waters riuscì sempre a impedire, avrebbe preferito avere come interlocutore Wright, l'unico di loro ad avere una formazione musicale classica).

Comunque che tipo, quel Geesin. Mai visto nessuno con un simile talento per le gaffes. Ricordo il gelo che scese in sala di registrazione una volta che, durante una pausa, si discuteva dei possibili titoli da dare al brano. Gilmour propose, non so quanto seriamente, The amazing pudding, al che Geesin salta su ed esclama: “Cavoli, ma questo è purissimo Barrett!” Dopo interminabili attimi di silenzio Waters alza la testa e sibila: “Tu Barrett non devi nominarlo”, dopodiché fu chiaro a tutti che per quel giorno le prove erano finite.

Era comunque destino che Barrett avesse un ruolo decisivo nella scelta del titolo. In primavera il brano era pronto, e pur avendolo già eseguito qualche volta dal vivo, ancora non sapevamo come chiamarlo. Ma ora si trattava di registrarlo per il nuovo album, che anzi avrebbe preso proprio quel titolo. Eravamo tutti in una sala riunioni della EMI, i Pink Floyd, Geesin, io, Norman Smith, forse qualcun altro. Smith, il supervisore artistico imposto dalla casa discografica, sta sfogliando una rivista sgualcita abbandonata su un tavolino. A un certo punto esclama: “Ehi, ma qui c'è una recensione a Madca! " The Madcap laughs era uno dei due album realizzati da Barrett in quello stesso 1970. Smith legge ad alta voce la recensione, un articolo che si concludeva più o meno così: “Insomma, dopo un lungo isolamento Syd Barrett è tornato a creare, ed è una singolare coincidenza che il suo nuovo album sia uscito il 3 gennaio, lo stesso giorno in cui Mary Sheldon, un'operaia di Cambridge cui pochi mesi fa è stato impiantato un pacemaker di nuovissima concezione, ha dato alla luce il piccolo Brian, meritandosi così il titolo di madre dal cuore atomico”.

Madre dal cuore atomico, “atomic heart mother”… Waters si impossessa della frase, la ripete più volte a mezza voce, le dà una limatina metrica, ed ecco il titolo del brano e dell'album, un titolo sul quale milioni di persone si sono rotte la testa… Quanto alla mucca posso ragguagliarvi anche su di lei: si chiamava Lulubelle III, e viveva con quattro compagne nella fattoria Potter, esattamente a metà strada fra Cambridge e Londra. La fotografò al volo Storm Thorgerson mentre Wright, che come al solito aveva sbagliato scorciatoia, chiedeva informazioni. Geesin, tanto per

Michele Mari - Rosso floyd








Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

home