martedì 21 giugno 2016

io ero la tua unica consolazione

Jostein Gaarder
Comunque eravamo sempre insieme, e dal momento che il tuo amico era morto, io ero la tua unica consolazione.



(...) Ricordo bene quel periodo, perché non fu facile per nessuno di noi due.
 
Comunque eravamo sempre insieme, e dal momento che il tuo amico era morto, io ero la tua unica consolazione. Così credo che fu allora che cominciasti seriamente a cercare una verità che potesse salvare la tua anima da ciò che è transitorio.
 
Ti dissi: stringimi forte. La vita è così breve e non è sicuro che ci sia un'eternità per le nostre gracili anime.
 
Forse è solo qui che viviamo. A qualcosa del genere non avresti mai voluto credere, Aurelio. Volevi procedere con cautela e stare all'erta finché non avessi trovato un'eternità per la tua anima. Come se per te fosse più importante salvarla dalla perdizione che redimere la mia. Così ce ne tornammo da Tagaste a Cartagine. Io esultai, perché non era vita per noi dividere la casa con Monica.
 
Scrivi: “Venivano i giorni e passavano uno dopo l'altro, e venendo e passando mi insinuavano dentro altre speranze, altri ricordi: e a poco a poco mi restituivano agli antichi piaceri”. Ma il seme era stato piantato, un'inusitata gravezza si era deposta sull'intero tuo essere. È strano che tu non scriva di più riguardo ad Adeodato (il loro unico figlio, n.d.r.). Ma forse includi anche lui tra gli “antichi piaceri”? (...).

Vita brevis
     Jostein Gaarder

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