Piero Bigongiari
Per questo ti scrivo
con questo inchiostro intriso nel tuo raggio.
Cerca un viso. Lo trova? È un miraggio?
MIRAGGI
Sono io che ho creduto di non averti mentre mi guardavi nel più profondo del cuore coi tuoi occhi poco esperti di abissi. Sono io che non ho reso i tuoi sguardi alla loro innocenza, li ho tenuti prigionieri, nascosti, fissi dentro di me. Ah! Tu capissi quanta luce spandono in fondo a quei penetrali. Mentre altri sguardi volano con ali felici chissà dove, troppo alti, e si fondono, luce con la luce; qui nel fondo di me c'è un abisso scintillante di quanto hai visto in me. Io ti prego: perdona il carceriere del tuo notturno splendore. Se è amore quello che non sa risolversi a rendere al sole i suoi raggi, è più tuo l'amore che incoraggi e che non tutto sia restituito dei suoi insostenibili miraggi. È il fondo oscuro in cui il tuo sguardo brilla come un diamante puro. I ritardi – o sono io già te se tu mi guardi? – i miei ritardi forse si giustificano dinanzi alla misura imperscrutabile della velocità di quella luce. Ne trattengo le stigmate qui abbasso perché non so quel raggio ove conduce in quel suo mirabile stoccaggio della felicità nell'universo. Ti ricordi a Patrasso, appena scesi dal traghetto, come splendeva il sasso della riva e lo stesso mio andare alla deriva in un raggio perfetto? Era il tuo sguardo perso che fioriva nell'azzurro e sfioriva? Era il sussurro, quello, non soltanto di una riva. Solo se all'impossibile tu chiedi aiuto, forse qualcosa arriva. Nessuno sguardo su chi è ferito rimane muto. Per questo ti scrivo con questo inchiostro intriso nel tuo raggio. Cerca un viso. Lo trova? È un miraggio?
Piero Bigongiari
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