Per cinque giorni diventammo uno. Ci vedevamo a casa mia e nel suo ufficio della Statale e in macchina. Era completamento e qualcosa che si avvicinava al misticismo. Parlavamo niente, facevamo l’amore lenti e senza ritegno e io rimanevo sbigottito da come lei tenesse insieme voracità ed eleganza.
Avvertimmo lo stupore di quei giorni, cosa stava succedendo, e lo ignorammo: era alchimia della carne e prima ancora di sostanze, questo sapevamo. Lontani dall’entusiasmo delle passioni iniziali, lontano dalle abbuffate puerili, lontano da uno sfogo momentaneo delle frustrazioni passate: infatti non avevo paura. Ero immune dal terrore della perdita, dal rischio dell’illusione, dalle imprudenze antiche. Integrai Lunette in Anna, perché Anna ribattezzò l’eros anche dopo il coito, quando si metteva a pancia sotto e io potevo scorrere due dita dalle caviglie al collo, o mentre ci guardavamo in mezzo ad altre persone, e in sua assenza, nell’appetito di lei che resisteva.
Socchiudevo gli occhi e affrontavo l’assenza di negritudine. Il pallore scalzava la nostalgia, e la caricava di batticuore. E poi non riuscivo a pensarla al passato, mi era impossibile immaginarla con Mario che la brama, che si avventa, che la prende: il demone della condivisione se ne stava in disparte.
Io e Anna iniziammo a parlare, a parlare
Marco Misssiroli --- atti osceni in luogo privato