Darling Real Estate The black and yellow finches That nest in our new ferns Which hang upon our front porch Wait for the warm sun to return Impatiently, as I wait for you Impatiently, as I wait for you The night surrenders swiftly The moon retreats from sight The darkness that surrounds me The sun cuts like a knife to shine Impatiently Impatiently The birds singing The sun rising Impatiently As I wait for you For you, for you, for you
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domenica 30 aprile 2017
Darling
Il cervo
Barbara Korun
il cervo mi punzecchia lievemente i seni leccandoli. lascio
che con la ruvida lingua mi lambisca il sesso,
il petto e il viso, m’inebria il suo profumo,
Il cervo
Mi sveglio con la calda lingua di un cervo tra le gambe.
attraverso la porta aperta penetra la piana luce della sera.
il cervo mi punzecchia lievemente i seni leccandoli. lascio
che con la ruvida lingua mi lambisca il sesso,
il petto e il viso, m’inebria il suo profumo,
profumo di terra, di muschio, di fradicio e di paura.
odore d’istinto.
poi mi si sdraia accanto, accanto al mio ventre, da poter
accarezzare i suoi peli setolosi, ha la testa vigile sollevata
e lo sguardo fisso lateralmente, nel bosco.
nell’oscurità risalta il suo nudo pene rosso.
quando il tempo si addensa e tendo il braccio nel buio, sfioro
un corpo maschile. la mia smania d’amore è cocente.
mi ama con naturalezza e da vicino.
nelle mani ha i venti del nord e del sud.
attraverso il suo corpo scorrono i fiumi e si muovono gli oceani.
la bocca è calda e piena come la pioggia estiva,
la stanza è colma di voci terrestri ed extraterrestri.
a volte qualche raggio smarrito della luna gli scopre il volto.
non mi guarda negli occhi come se volesse difendermi da se stesso.
talvolta mi ama con trasporto da non farmi sentire più la gravità.
talvolta la voluttà sgorga dal suo ombelico come una piccola
sorgente limpida, talvolta dal suo interno vomita la lava,
ma non mi ferisce mai.
sempre con immensa attenzione mi posa con il ventre sulla terra,
e quando mi morde il collo e fiuto il suo caldo alito, lo so
che verrò inevitabilmente risparmiata.
ai primi albori nei suoi capelli tasto due cornetti
le setole dalla testa si allargano sulla schiena, fino al coccige.
sul ventre gli spunta la soffice erba animale.
all’alba mi scruta una testa di cervo con occhi ormai appena umani,
con occhi di là del confine.
le sempre più coriacee mani mi accarezzano assenti.
gli cresce una corona.
nel capanno si fa strada la fragranza del mattino e il cervo si alza.
quando esco davanti alla porta, mi guarda in maniera
da spaccarmi in due pezzi sull’istante e bruciarmi.
e mentre ascolto frusciare l’eco dei suoi veloci passi animaleschi,
sento che dalle mie due riarse metà crescono fiori
selvatici.
Barbara Korun
attraverso la porta aperta penetra la piana luce della sera.
il cervo mi punzecchia lievemente i seni leccandoli. lascio
che con la ruvida lingua mi lambisca il sesso,
il petto e il viso, m’inebria il suo profumo,
profumo di terra, di muschio, di fradicio e di paura.
odore d’istinto.
poi mi si sdraia accanto, accanto al mio ventre, da poter
accarezzare i suoi peli setolosi, ha la testa vigile sollevata
e lo sguardo fisso lateralmente, nel bosco.
nell’oscurità risalta il suo nudo pene rosso.
quando il tempo si addensa e tendo il braccio nel buio, sfioro
un corpo maschile. la mia smania d’amore è cocente.
mi ama con naturalezza e da vicino.
nelle mani ha i venti del nord e del sud.
attraverso il suo corpo scorrono i fiumi e si muovono gli oceani.
la bocca è calda e piena come la pioggia estiva,
la stanza è colma di voci terrestri ed extraterrestri.
a volte qualche raggio smarrito della luna gli scopre il volto.
non mi guarda negli occhi come se volesse difendermi da se stesso.
talvolta mi ama con trasporto da non farmi sentire più la gravità.
talvolta la voluttà sgorga dal suo ombelico come una piccola
sorgente limpida, talvolta dal suo interno vomita la lava,
ma non mi ferisce mai.
sempre con immensa attenzione mi posa con il ventre sulla terra,
e quando mi morde il collo e fiuto il suo caldo alito, lo so
che verrò inevitabilmente risparmiata.
ai primi albori nei suoi capelli tasto due cornetti
le setole dalla testa si allargano sulla schiena, fino al coccige.
sul ventre gli spunta la soffice erba animale.
all’alba mi scruta una testa di cervo con occhi ormai appena umani,
con occhi di là del confine.
le sempre più coriacee mani mi accarezzano assenti.
gli cresce una corona.
nel capanno si fa strada la fragranza del mattino e il cervo si alza.
quando esco davanti alla porta, mi guarda in maniera
da spaccarmi in due pezzi sull’istante e bruciarmi.
e mentre ascolto frusciare l’eco dei suoi veloci passi animaleschi,
sento che dalle mie due riarse metà crescono fiori
selvatici.
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non ti fidar di me se il cor ti manca
Ercole Patti
Poco prima di mezzanotte tutti cominciarono a raggiungere le loro stanze.
Soltanto la zia Cettina e Nino si avviarono verso l'ala sinistra. La zia era allegra per il vino bevuto, appoggiò il braccio sulla spalla del nipote mentre si inoltravano nel lungo corridoio fian-cheggiato da porte chiuse con pomi di porcellana istoriati di fiorellini colorati.
La stanza della zia era accanto a quella di Nino anzi essendo sulla parete di fronte del corridoio la porta era sistemata ad angolo retto con quella della stanza del nipote.
La zia entrò nella sua camera, accese la luce.
"Speriamo," disse, "che nell'armadio non ci siano topi. L'anno scorso ce n'era uno che la notte non mi faceva dormire. Proviamo a guardare dentro. Vieni qui Nino."
Il ragazzo entrò nella grande stanza pavimentata con mattonelle di terracotta. Un vasto letto matrimoniale si alzava contro una parete; era in ferro battuto tinto di nero, con fregi di ottone, i pomi di vetro verde in forma di pigne; era altissimo coi suoi quattro fitti e gonfi materassi di lana. Sulla parete opposta c'era un grande armadio, nell'angolo accanto alla porta-finestra che dava sulla terrazza una toletta dallo specchio snodato che sul retro recava in tutta la superficie una im-magine colorata di donna in costume settecentesco. A fianco del letto c'era un comò di noce con sei cassetti e sopra due lumiere di ottone a beccucci.
Nel centro del comò un San Giuseppe di gesso colorato sistemato sotto una campana di vetro.
La zia aprì piano un battente dell'armadio che mandò un odore pungente di rinchiuso e di naftalima; si vedevano nel fondo due cappelliere di car-tone leggermente rosicchiate dai topi una sull'altra e due ombrellini da sole appoggiati in un angolo; nell'altro angolo un bastone di quelli con dentro lo stocco di acciaio; ìe grucce per appendervi gli abiti erano libere.
"L'odore dei topi c'è," disse la zia annusando mentre Nino aveva preso il bastone animato e lo tirava per il manico cercando di estrarne la lama.
"Stai attento a non tagliarti," disse la zia.
Nino sguainò lo stocco, la lama istoriata color d'argento brillò sotto la lampadina.
"Che cosa c'è scritto?" chiese la zia curvandosi sulla lama e appoggiandosi al nipote.
Sulla lama lucente dello stocco a caratteri maiuscoli in rilievo, di un colore di argento opaco, c'era una scritta.
"Non ti fidar di me," lesse Cettina.
Nino voltò la lama e sul lato opposto la zia lesse il seguito della frase: "Se il cor ti manca. Adesso mettilo via," aggiunse, "e aiutami ad aprire le valigie."
Intanto che Nino ringuainava lo stocco e riponeva il bastone nell'armadio Cettina si sfilò l'abito che appese a una gruccia e rimase in sottoveste; poi sedette su una delle poltrone ai piedi del letto e si tolse le calze.
Nino vide le gambe nude della zia; lei si toglieva le calze con molta naturalezza senza curarsi del ragazzo; intanto la leggera sottoveste le scivolava indietro scoprendo le cosce.
"Apri prima quella più piccola," disse lei.
Nino apri la valigia.
"Che debbo fare?" chiese respirando il profumo della zia Cettina che si levava dagli indumenti ripiegati dentro.
"Guarda a destra, ci debbono essere un paio di pantofoline."
Nino cercò trovò le pantofoline chiuse in un sacchetto di stoffa a fiorellini.
"Eccole."
"Passamele per favore."
Il ragazzo si avvicinò alla zia che era sempre seduta sulla poltrona e le porse le pantofoline.
Cettina le sfilò dal sacchetto e le calzò lentamente mettendo ogni volta una gamba sull'altra e scoprendo in quel movimento le cosce fino in fondo; poi si alzò. Sotto la stoffa leggera della sottoveste si indovinava il suo corpo saldo che si muoveva con indolenza.
"Quel vino mi è andato in testa," disse con un sorriso dolce. "Aiutami a tirar fuori la roba dalla valigia"
Cettina si curvò sulla valigia accanto al ragazzo che sentiva contro il suo braccio che usciva dalla maglietta a mezze maniche il braccio nudo di lei caldo e liscio; subito il ricordo di quel pomeriggio del marzo scorso nella casa di via Montesano gli tornò in mente coi suoi vivi e indimenticabili particolari.
Via via che tirava fuori la roba dalla valigia Cettina la passava al nipote indicandogli i cassetti dove doveva metterla. Poi volle invertire le parti: Nino prendeva la roba dalla valigia e lei la sistemava nell'armadio e nei cassetti.
Venne fuori il vestito da caccia dello zio Biagio il marito di Cettina; Nino lo porse alla zia con un senso di avversione per quell'indumento che odorava sfacciatamente di uomo. Cettina appese la pesante giacca con toppe di cuoio ai gomiti a una gruccia sopra un paio di pantaloni di erto fustagno. Nino provava uno strano senso di gelosia per l'intimità che il marito doveva avere con lei. Questo sentimento si ripeteva a tutti gli indumenti maschili che venivano fuori dalla valigia.
Ad un certo punto la zia interruppe l'operazione.
Soltanto la zia Cettina e Nino si avviarono verso l'ala sinistra. La zia era allegra per il vino bevuto, appoggiò il braccio sulla spalla del nipote mentre si inoltravano nel lungo corridoio fian-cheggiato da porte chiuse con pomi di porcellana istoriati di fiorellini colorati.
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"Speriamo," disse, "che nell'armadio non ci siano topi. L'anno scorso ce n'era uno che la notte non mi faceva dormire. Proviamo a guardare dentro. Vieni qui Nino."
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Nino cercò trovò le pantofoline chiuse in un sacchetto di stoffa a fiorellini.
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Un bellisimo novembre
Ercole Patti
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non pensi che a me che penso al tuo seno
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Come mi sono ritrovato a spiegare più volte alle negozianti di biancheria intima per metterle in condizione di consigliarmi al meglio, il tuo è un caso un po' particolare, nel senso che i tuoi capezzoli sembrano montati alla rovescia, con la punta verso l'interno, e sbucano, come un animaletto dalla tana, quando sei eccitata. Immagino lo stiano facendo anche in questo momento, senza che tu abbia bisogno di toccarti. Non toccarti. Interrompi quel movimento che magari avevi cominciato, lascia la mano sospesa nell' aria e accontentati di pensare al tuo seno.
[...]
Non pensi ad altro che al tuo seno, e a me che penso al tuo seno, per un quarto d'ora. Chiudi gli occhi, o no, come vuoi tu.
Facciamo un gioco
[...]
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Facciamo un gioco
Emmanuel Carrére
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Come andare al tempio
Chandra livia Candiani
e preparare parole povere
snocciolate
via via che la porta
si avvicina?
Come andare al tempio
Come andare al tempio, come un lago tranquillo le mani senza offerte tranne quello che hai sfamato diventato respiro bruma tra i capelli e preparare parole povere snocciolate via via che la porta si avvicina? Come andare al tempio, furiosi e famelici con il sangue che bussa insieme agli annegati, con le mani zuppe di lacrime degli altri senza faccia, con i sogni degli animali che non sanno di nascere crescono schiodati dalla terra per sfamare i sazi? Come andare al tempio, saltellando o strisciando stanchi, stanchi di pregare silenzio e trovare solo nomi abbandonati voci scucite? Come girare le spalle al tempio e tornare lentamente verso casa e ogni passo farlo santo appropriato e insieme incompetente, ogni respiro accompagnarlo precisamente e poi cadere a terra come ammainati e tenere la propria mano e dirsi eccomi qui piccola come un pulviscolo eccomi spazzata via alla domanda schietta: briciola che ha paura del pane è la morte?
Chandra Livia Candiani
parola
sabato 29 aprile 2017
se tornassi alla fonte
se tornassi alla fonte - Andrea Chimenti Se tornassi alla fonte Al luogo della partenza Ai piedi della montagna Al porto dell'imbarco Al capo del filo Alla prima luce del mattino Al primo rintocco All'inizio del sentiero In fondo alla scala Al grido prima dell'eco Alla corda tesa dell'arco Alla prima nota del canto Al primo battito del cuore Allo sparo di partenza Al di là del ponte All'inizio del solco Alla valigia da fere Alla vigilia della festa Non porterei nulla con me Solo questa piccola luce Che sta nascendo proprio adesso
disincanto, distacco silenzio
prendere coscienza del fatto che sei nuda, sotto i vestiti
Emmanuel Carrére
prendere coscienza del fatto che sei nuda, sotto i vestiti. Distinguere, punto primo, le zone di pelle che non sono in contatto con alcun tessuto, ma direttamente con l'aria - viso, collo e mani, più una quota variabile degli arti superiori e inferiori -, punto secondo, le zone coperte da un tessuto, e qui si apre un intero ventaglio di sfumature, a seconda che il tessuto aderisca - biancheria intima, jeans attillati - o aleggi a una certa distanza - camicia ampia, gonna al polpaccio.
Rimane un punto terzo che volevo tenermi per ultimo e che riguarda le zone di pelle in contatto con altre zone di pelle; per esempio, sempre sotto una gonna, le cosce accavallate, una sopra l'altra, l'alto del polpaccio contro il lato del ginocchio. Chiudi gli occhi e procedi all'inventario di tutti i punti di contatto della tua pelle con l'aria, col tessuto, con la pelle o con un altro materiale - gli avambracci sui braccioli, la caviglia contro la plastica del sedile davanti. Passa in rassegna tutto ciò che tocca la tua pelle, tutto ciò che tocca la tua pelle. Esamina in dettaglio tutto ciò che percorre la superficie di te.
Facciamo un gioco
Rimane un punto terzo che volevo tenermi per ultimo e che riguarda le zone di pelle in contatto con altre zone di pelle; per esempio, sempre sotto una gonna, le cosce accavallate, una sopra l'altra, l'alto del polpaccio contro il lato del ginocchio. Chiudi gli occhi e procedi all'inventario di tutti i punti di contatto della tua pelle con l'aria, col tessuto, con la pelle o con un altro materiale - gli avambracci sui braccioli, la caviglia contro la plastica del sedile davanti. Passa in rassegna tutto ciò che tocca la tua pelle, tutto ciò che tocca la tua pelle. Esamina in dettaglio tutto ciò che percorre la superficie di te.
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è bello nascere in una giovane giornata di primavera, non è vero?
anche se questo mistero,
del resto mai spiegato,
è stato vissuto già innumerevoli volte.
anche se la gioia già innumerevoli volte
è stata assaporata,
ma mai bevuta fino in fondo.
e, luce, innumerevoli volte
mi cerco nelle trasparenti foglie dei germogli
e accarezzo il seme
che porta in sé un dolce segreto –
la morte.
ho tanta, tanta smania
di questa oscura felicità
nel cui spazio germino la vita,
la cresco e la moltiplico
e maturo nel morbido nulla –
culla di Dio.
Barbara Korun
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Chandra Livia Candiani
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