mercoledì 7 settembre 2016

Quando le calzai mi sentii strana, diversa. Come se adesso appartenessi al cielo.

Radhika Jha


“I tacchi alti sono l’esatto contrario dei geta. Mettiamoli a confronto e dimmi se i geta non sono obiettivamente inferiori. (..) Dite quello che volete, non solo i geta hanno un aspetto rozzo, ma è proprio difficile camminarci, ti costringono a trascinare umilmente i piedi.
 
Con i tacchi alti succede l’opposto. Il piede è arcuato, non appiattito, così che la ragazza che li porta sembra camminare sull’aria, come una dea, come una fata. La prima volta che ho infilato i piedi un paio di scarpe con i tacchi alti come si deve, non si trattava di un marchio italiano, bensì francese: Louis Vuitton. Non sapevo un granché, di scarpe straniere. Ma il negozio era lo stesso dove avevo comprato la borsa. Quando le calzai mi sentii strana, diversa. Come se adesso appartenessi al cielo. Era così bello che non volevo più togliermele. Mai più. Avendo notato l’espressione sul mio volto la commessa suggerì: Le vecchie scarpe le metto nella scatola, così queste può tenerle ai piedi? Per l’emozione non riuscii neppure a risponderle. Ma a buona intenditrice poche parole, sicché uscii dal negozio che mi sentivo un’altra. Guardavo la mia ombra strabiliata. Chi era quella tipa, con le gambe così lunghe?
[...]
Mi venne in mente che adesso avevo proprio l’aspetto che dovevo avere, che finalmente ero come Dio aveva sempre voluto che fossi. Il dolore arrivò dopo, quando mi tosi le scarpe. I polpacci mi bruciavano e sentivo come degli aghi infuocati far su e giù per le mie gambe. Le dita dei piedi non le sentivo più; e se cercavo di muoverle loro non cooperavano. La cosa peggiore in assoluto era che le piante dei miei piedi dovevano evidentemente aver camminato sui carboni ardenti, a mia insaputa.

Ma ciononostante io giravo per la cucina, intenta a preparare la cena per i bambini, sentendomi meravigliosa: come se portassi ancora i tacchi, divorata da mille occhi pieni di ammirazione. Il dolore era soltanto l’altra faccia della medaglia, ovvero della felicità che provavo. E lì, dentro la mia casetta in disordine e che odorava di pesce, mi sentivo felice come non lo ero mai stata. Mi resi conto che il dolore può essere cosa buona, quando attraverso di esso riesci a rivivere intensamente una data esperienza. E poi il dolore cancellava il senso di colpa che avrei dovuto provare per essere stata una cattiva ragazza, per aver pensato solo a me stessa e aver speso i soldi che avrei dovuto tenere in serbo per i miei cari. La mattina dopo il dolore era svanito e io ero pronta a comportarmi male un’altra volta.”

Confessioni di una vittima dello shopping,
     Radhika Jha,

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