Lunette aspettò che aprissi il portone, si intrufolò sulle scale, poi nell’appartamento. Mi prese per mano e mi accompagnò in camera da letto. Mi lasciò in piedi, si sedette sul bordo del materasso e mi slacciò i pantaloni. Li sfilò e mi guardò dal basso, a lungo. Aveva questi occhi grandi che non riuscivo a sostenere. Mi prese in bocca, mi lavorò con la lingua finché mi indurii. Si sfilò i pantaloni, si tolse la maglia e restò in reggiseno, si sbarazzò delle mutandine. Le luci dei lampioni entravano dalle persiane e davano penombra. Abbassai lo sguardo e la vidi. Piccola, annerita dalla peluria rasa, il monte di Venere
impercettibile.
– Hai paura, Libero?
Annuii.
Fu lei a condurmi. Ci stendemmo, lei aprì le cosce e io esplorai l’origine du monde con le labbra, e la lingua, il naso. Sapeva di buono, profumava di Lunette che era salsedine e confettura. Mi cinse il collo, mi invitò su di lei. Mi sostenni sulle braccia e mi feci guidare, lo strisciai sulle grandi labbra e per un attimo volli finisse così. Invece Lunette mi abbracciò e mi premette dentro di lei. Fece con calma, oscillò a destra e io lo fissai sparire in quella fessura minima. Gemette, la baciai, baciai il seno, afferrai le sue cosce e le braccia e ricordo i suoi occhi vitrei mentre la prendevo e perdevo la cognizione del tempo e di me stesso. Mario,
Marco Missiroli ** Atti osceni in luogo privato