lunedì 13 luglio 2015

J’aime quand tu es étonné.



e disse J’aime quand tu es étonné. Amava il mio stupore, uno smarrimento che mi portavo dietro da quando ero bambino. Apparivo sperduto e da salvare [...]
la baciai nei vagoni e poi in strada, aveva una lingua vorace e calze scure sotto una gonnellina a frappe. [..]
– Hai paura? – chiese.
– Oui, j’ai peur.
[..]
Spavento e desiderio provocarono una reazione controversa, la fuga. Avrei dato qualsiasi cosa per averla e qualsiasi cosa per andarmene: scelsi l’immobilità.
Mi sentivo una capretta.
Lei venne e mi accarezzò sulla guancia, mi accompagnò sulla poltrona, poi sedette sul bracciolo. Cominciò a baciarmi. Fu un bacio lungo, e io la toccai dalla schiena fino alle scapole e sui fianchi. Aveva una carne dura e liscia. E l’odore era acre e dolce, mi passò la lingua sul collo e armeggiò con la cintura, tirai indietro la pancia e lei mi sfilò i pantaloni senza slacciarli.
– Dis-moi que tu as peur.
– Ho paura – dissi in italiano.
Mi fissava, e senza abbassare la testa lo massaggiò. Mi doleva da quanto era pieno. Lo tirò fuori e mi fece scivolare le mutande alle caviglie, le mise da parte con cura. Lo strinse, e io vidi il pallore del sesso nella mano nera. Ecco cosa si provava. La perdita di se stessi. L’assoluta certezza che quello, e niente altro, fosse esistere. Lo sentii fremere tra le sue dita. Spinsi avanti il bacino, Lunette mi bloccò e fece scivolare la presa ai testicoli, li sfiorava con il palmo, poi disse Ta bitte est grosse, si aprì camicetta e reggiseno con un gioco di prestigio. Aveva tette più colme di quanto apparivano vestite. Le impugnai, Pas vite Libero, con calma, guidò piano le mie mani all’areola. Mi sbilanciai in avanti e gliele baciai con precisione, infine da incontinente. Lei gemette e io abbassai le mani all’ombelico, sfiorai l’inizio del pube, mi bloccò. Mi confinò contro lo schienale e chinò la testa, lo fece sparire in bocca. Fu uno spasmo incredulo. Mugolai mentre lei sussurrava, Vas-y Libero, vas-y, lo rimangiò e io balbettai che stavo venendo. Lo prese in mano e lo agitò, mi inarcai sulla poltrona, chiusi gli occhi.
Avevo cominciato a perdere il mio candore, lì, dove mio padre era finito.[..]
Ci baciavamo, mi sfiorava e la sfioravo, l’attesa generava tripudio. Aspettavo senza scalpitare, estasiato, mentre la farfalla nera custodiva la mia illibatezza come una creatura in via di estinzione. Trasformavo la vigilia in festa e avanzavo a piccoli passi verso la sacra iniziazione. Assaggiavo di lei quanto potevo, avvistavo l’evento, quando tentavo di bruciare le tappe era lei a fermarmi: mi bloccava le mani, poi mi appoggiava una guancia sul petto, Tant pis mon amour, con pazienza amore mio, è solo l’inizio.
 
Fu davvero l’inizio. E L’amante fallì, andammo oltre l’incontro dei sensi. Ero ancora illibato, ma già in prossimità del “moi-même” che Marie si era decisa a inseguire tardivamente. La grammatica della libido si appropriò del mio assetto neuronale, più della letteratura e dello studio del diritto. Dovevo apprendere, avevo perso troppo tempo. E questo era il punto che avrebbe portato alle mie future impudicizie: i tempi della repressione erano finiti troppo tardi creando pulsioni di riscatto. Un anno mancato di sessualità in adolescenza poteva corrispondere a cinque anni spregiudicati in adultità, ecco la sorte a cui andavo incontro se non avessi allineato l’anima agli ormoni.
 
Così Lunette architettò la caduta del mio candore con dolcezza, e sotto la legge dell’imprevedibile. Protesse la mia verginità per giorni in cui convertii l’attesa erotica in sommossa creativa, a tratti soprannaturale. Scelsi la pazienza, e investii nell’atto mancato. Il vero amplesso è il non fatto, il mai avuto, lo sfioramento eterno: aspettavo il consumo della seduzione in un preludio felice. Irradiavo celestialità, generavo sorprese. Al lavoro mi offrii di dare una mano per sostitui re lo chef ammalato con ricette bella-figura, preparai variazioni di omelette alle erbe aromatiche e miele, zuppe agro-piccanti e polpette di pesce, inventai la “crêpe Magots”: un intruglio di mele e mascarpone che stupì clienti e proprietari, entrando a furor di popolo nel menu. Anche a casa la mia ouverture erotica sfociò in un’empatia: accompagnai mamma nei suoi maquillage notturni al servizio di smorfiose da imbellettare per la disco, l’assistevo come autista per Parigi e nel passarle i ferri del mestiere durante il trucco. Insieme brindavamo al grottesco della nouvelle vague con un bicchierino di Pastis prima di dormire. Mamma mi fissava e rideva sotto i baffi, Stai sbocciando ometto di mondo. E poi leggevo leggevo leggevo: fu Albertine scomparsa che incorniciò il mio sabato del villaggio sessuale. Era il libro della Recherche che Proust scrisse in memoria dell’amante morto in un incidente aereo. La sua disperazione amplificò la mia gioia: io l’amore l’avevo, e stava per esplodere. Era la ricerca del tempo futuro

Marco Missiroli ** Atti osceni il luogo privato

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