sabato 19 gennaio 2019

mi mancava solo quello: buttarmi un po’ via..


Alessandro Robecchi



«Bene, allora mi dica, e mi scusi la brutalità... com’è possibile che una donna come lei»
[...]
«... che una come lei fosse sposata con quel... con quell’uomo così...
[...]
«Ma certo, Carlo, glielo dico. Ognuno mette sul tavolo le sue briscole, giusto?
[...]
Lei aveva tutto e avrebbe avuto ancora di più.
[...]
le feste, le piccole trasgressioni di chi sa di essere prezioso e considera la noia un accessorio indispensabile, come una borsa di Hermès, una cintura di Gucci. Lui – lo aveva conosciuto del tutto casualmente – era un arrampicatore da romanzo russo, un piccolo borghese ignorante e scalpitante, uno che guardava al futuro unicamente come a un’opportunità... uno che voleva tutto e lo voleva subito.
[...]
«Era... così disdicevole, così privo di principi... ma divertente, sa?».
[...]
Io avevo ventotto anni, mi sembrava di avere tutto, mi mancava solo quello: buttarmi un po’ via... Non lo trova a suo modo... sublime?».
«Un po’ contorto», dice Carlo, «o forse un modo contorto per dire che lo amava...».
Poi si alza e gli dà le spalle, si china su una libreria, scorre l’indice sulle coste dei volumi, pesca un piccolo Adelphi giallo e si rimette in poltrona, sedendosi su una gamba ripiegata. Trova subito il punto, perché c’è un segno, e legge, scandendo bene le parole:
 «Per amore, noi siamo induriti criminali nei riguardi della verità, ricettatori e ladri incalliti, i quali fanno essere vero più di quel che ci appare vero...».
Nietzsche, Aurora...

«E poi tutto quel... sublime, si è sciolto, non è così?».

 «Non piano piano, sa? Quasi subito e quasi di colpo. Era un gioco, e poi non lo era più. Dieci anni, Carlo, dieci anni per una specie di capriccio, eppure stare lì, anche se raramente stavamo insieme... stare lì mi sembrava un’espiazione, una punizione autoinflitta... in qualche modo sublime anche questa, non crede?».
[...]
«Che delusione, Carlo, e che rabbia. Con quelle faccende schifose... sì, violente e schifose, andava in frantumi anche quel minimo di spiegazione che mi ero data... Era un abbaglio, e di colpo diventava un errore. Il furfante piccolo borghese da romanzo russo, quello che festeggiava le sue truffe comprando un nuovo appezzamento a vigna, si rivelava un banale, ridicolo animale. La stessa differenza tra l’oscenità dichiarata di un quadro di Schiele e un porno amatoriale... Ma c’era un’altra cosa...».

Alessandro Robecchi, Torto marcio


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