Alessandro Robecchi
Ma sì, invece. C’è il fantasma di questo enorme figlio di puttana, che a un certo punto se l’è pure portata a casa, e lei credeva che era quello, l’inizio di qualcosa che somigliava a marito e moglie, anche se lui pippava e le metteva le mani addosso e una volta, no, due, l’ha mandata al pronto soccorso a dire quelle cose che dicono tutte... l’armadietto della cucina... la caduta dalle scale...
Così era tornata lì, nel buco di via dei Transiti che però lo amava ancora, e ancora credeva che quell’inizio, da qualche parte, in qualche tempo più avanti, ci sarebbe stato. E lui infatti andava e veniva come se lei fosse la sua donna, anche se si sapeva, e si vedeva, che lui aveva le sue puttane da qualche parte.
Si sapeva e si vedeva, ma lei non voleva né sapere né vedere, perché era aggrappata a quello scimmione del cazzo come l’acrobata al trapezio, e la rete, sotto, non c’era.
[...]
Ma poi... Ma poi quella volta che l’aveva posteggiata per due giorni da una puttana di Affori, che doveva insegnarle a battere. Aisha, si chiamava, ed era anche gentile, ma lei non voleva e quando aveva visto il ciccione sudato con cui avrebbe dovuto... beh, aveva quasi vomitato e pianto, pianto, pianto per due giorni, finché lui era venuto a riprendersela dicendo non sei buona nemmeno a farti scopare, non sei buona a fare niente.
Questa non è una canzone d'amore
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