


- La signora parte per un lungo viaggio? - chiese timidamente, un giorno, la fanciulla devota.
- Lungo, lungo.... - mormorò vagamente, donna Grazia.
- E io debbo venire?
- No.... Meglio che non veniate - soggiunse donna Grazia.
- Tutta sola, un lungo viaggio? - osò chiedere ancora la ragazza.
Donna Grazia chinò il capo e non rispose: un velo di tristezza le passò sulla faccia. Tacquero.
E Ferrante, come il giorno della partenza si approssimava, non andava più nei soliti ritrovi di Roma autunnale: male o bene, ma con una febbre di uomo preoccupato, aveva cercato di risolvere alcuni affari stringenti, assorbito, distratto, accettando qualunque peggiore risoluzione, purchè fosse immediata. Quando i suoi intimi lo vedevano ricomparire, per un momento, gli domandavano, sorpresi:
- Ma che fai, dunque?
- Parto - rispondeva lui, pensando ad altro.
- Dove vai?
Egli faceva un cenno vago, come di paese molto lontano. Per discrezione, gli intimi non chiedevano altro: sapevano quale tragedia morale avesse sconquassata la sua famiglia e molti supposero qualche improvvisa, bizzarra decisione. Anzi, la voce ne corse, avvolta in veli misteriosi. Una sera, un amico più affettuoso, più insistente, andò a casa di lui: e lo trovò solo, fumando, con le finestre aperte, ma col caminetto acceso dove buttava delle carte, dopo averle lette. Sul tavolino vi erano altri pacchi di lettere, un grosso portafoglio di pelle, tutto sdrucito, due o tre libri dalla legatura usata e un paio di minute pistole nella loro scatola che pareva quella di un gioiello.
- Che fai, ti vuoi ammazzare? - domandò ridendo l'amico.
- Forse - rispose Ferrante, ridendo un poco, ma poco. Nè dissero altro, mentre nel caminetto le lettere avvampavano allegramente.
Così, nell'alba bigia in cui donna Grazia partì da Sorrento per Napoli, mentre aveva detto ai suoi amici che sarebbe partita solamente la sera, in quell'alba bigia, la sua devota cameriera, vedendola andar via, avvolta nel grande mantello bruno, avvolta nel bruno velo che le circondava il capo, il viso, il collo, si chinò, commossa, a baciarle la mano:
- Io la rivedrò, nevvero? - chiese, cercando di trattenere le lacrime.
- Forse - disse donna Grazia, andandosene, senza voltarsi.
Tanto la fatalità li aveva vinti, ambedue.
Donna Grazia non vedeva nè il mite sole che rallegrava le vie di Napoli, nè le azzurrità fini del cielo e del mare, nè la folla lieta che si godeva quel giorno soave: chiusa nella carrozza da nolo, guardando ogni istante il piccolo orologio sospeso alla cintura pur senza vederne l'ora, ella divorava lo spazio con la mente, cercava di ripetere per la millesima volta il calcolo del tempo e dello spazio, per chetare la propria impazienza. Sarebbe partita da Napoli per Roma alle due e cinquantacinque, col treno più celere, tutta sola nel suo compartimento; sarebbe giunta a Roma alle otte e trentacinque della sera; alla stazione avrebbe ritrovato Ferrante e dopo un'ora e mezzo, in cui non sarebbero neppure entrati in Roma, sarebbero ripartiti, via Firenze e Bologna, per Venezia, insieme. Insieme! Pensando, ripensando, pronunciando sottovoce questa parola, ella vedeva scomparire l'ora, il tempo, lo spazio tutto, una nebbia le scendeva sugli occhi, una lieve vertigine le confondeva ogni moto. Insieme! Fu macchinalmente che pagò il cocchiere, scendendo alla partenza, nella stazione, stringendo fra le mani il sacchetto dove erano i suoi valori più preziosi. La grande galleria coperta dove si prendono i biglietti era quasi vuota. Ella non vi badò.
- Di prima, per Roma - disse, affannando un po' al bigliettinaio.
- Ecco - fece quello - ma si affretti, perchè il treno parte.

Matilde Serao *** La Grande Fiamma - 6
