sabato 10 ottobre 2015

Non è tempo che amando resistiamo all’amato






  
[…]
Ma non devono questi, i più antichi dolori,
darci infine più frutto? Non è tempo che amando
resistiamo all’amato, ce ne liberiamo, tremanti:
come la freccia resiste alla corda per essere, raccolta
nel balzo, più di se stessa. Poiché non v’è luogo per restare.
[…]


La prima elegia duinese

Oh la notte, la notte quando il vento colmo di spazi
il volto ci rode – a chi l’anelata non resterebbe,
che soave delude e incombe come fatica
al singolo cuore. La notte è agli amanti più lieve?
Ah, si occultano solo l’un l’altro la sorte.
Ancora non sai? Getta dalle tue braccia il vuoto
e accresci gli spazi che respiriamo; sentiranno forse gli uccelli
l’aria ampliata in più intimo volo.
Primavere, sì, hanno avuto bisogno di te. Qualche
stella pretese che tu la sentissi. Si inarcò
un’onda da ciò che era stato, o quando
passasti e la finestra era aperta, a te
si donava un violino. Tutto questo era compiuto.
Ma tu l’hai assolto? Non te ne stavi distratto
ad attendere, quasi ogni cosa annunziasse
una amata? (Dove vuoi custodirla,
che i grandi estranei pensieri entrano
ed escono in te e spesso la notte rimangono. […]
Ma le amanti in sé le ritrae la natura,
esausta, quasi non avesse le forze
due volte per farlo. […]
Ma non devono questi, i più antichi dolori,
darci infine più frutto? Non è tempo che amando
resistiamo all’amato, ce ne liberiamo, tremanti:
come la freccia resiste alla corda per essere, raccolta
nel balzo, più di se stessa. Poiché non v’è luogo per restare. […]
Certo è strano non abitar più la terra,
non usare più di costumi appena imparati,
a rose e a cose diverse che sono chiara promessa
non dare più il senso di umano futuro;
ciò che si era in tante trepide mani
non esserlo più, e abbandonare anche
il nome come un giocattolo rotto.
Strano non aver più desiderio dei desideri. Strano
veder sventolare tanto sciolto nel vuoto
tutto ciò che si univa. […] Ma i viventi fanno
tutti l’errore che troppo forte distinguono. […]
Ma noi che abbiamo bisogno di arcani, da cui nel cordoglio
scaturisce un progresso beato: potremmo essere senza di loro?

R. M. Rilke, estratto da “La prima elegia duinese”.




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