Lettera a Rilke
St. Gilles, 14 giugno 1916
Ascolta, Rainer, che Tu lo sappia fin dal princi-pio. lo sono cattiva. Borís è buono. E a causa della mia cattiveria ho taciuto: soltanto qualche frase su quanto vi è in Te di russo, in me di tedesco, ecc. E d'un tratto la lamentela: «Perché mi escludi? lo lo amo quanto l'ami Tu»:
Che cosa ho provato? Pentimento? No. Mai. Neanche un po'. In vece di un sentimento, l'azione. Ho trascritto per lui le Tue due prime lettere e glie-le ho spedite. Che cosa potevo fare di più? Oh, sono cattiva, Rainer, non voglio alcun confidente, fos-s'anche Dio in persona.
Io sono molte persone, m'intendi? Forse infinite! (Un'infinità insaziabile!) Nessuna deve sapere dell'altra, non è bene. Quando sto con mio figlio, colui (colei?) no - ciò che Ti scrive e Ti ama non deve esserci.
Quando sto con Te ecc. Esclusività e chiusura. Non soltanto intorno a me, neppure dentro di me voglio avere confidenti. Per questo nella vita sono bugiarda (vale a dire taciturna, e se costretta a parlare - bugiarda), sebbene in una vita diversa io sia ritenuta sincera, e lo sia. Sono incapace di condividere.
E tuttavia ho condiviso (è stato due o tre giorni prima della Tua lettera). No, Rainer, non sono bugiarda, sono troppo sincera. Se io buttassi lì parole semplici e lecite - scrivessi lettere, amicizia - andrebbe tutto bene! ma so che tu non sei scriversi lettere nè amicizia.
Nella vita delle persone io voglio essere ciò che non è causa di male e per questo mentisco - a tutti, tranne a me stessa.
Situazione equivoca che mi accompagna da tutta la vita. « Poichè non sono autentico la dove sono piegato ». Non autentica, Rainer, e non: bugiarda!
Se io getto le braccia al collo a uno sconosciuto, è naturale, se lo racconto, diventa innaturale (per me stessa!). Se però lo dico in una poesia, è naturale. Dunque, l'azione e la poesia mi danno ragione. "ciò che sta in mezzo" mi accusa. "ciò che sta in mezzo" è menzogna, non io. Se riferisco la verità (braccia al collo), è menzogna. Se riferisco la verità (braccia al collo), è menzogna. Se taccio, è verità.
Intimo diritto a mentenere il segreto. Ciò non riguarda nessuno, nemmeno il collo intorno a cui sono state gettate le mie braccia. Affari miei. E considera che per di più io sono una donna, sposata, con figli, ecc.
Rinunciare? Oh, non è mai così importante da valerne la pena. Già io rinuncio troppo facilmente. D'altro canto, quando faccio un gesto sono conten-ta di aver ancora potuto fare un gesto. È così raro che le mie mani vogliano qualcosa!
Sprofondare in me stessa e, dopo giorni o anni — imprevisto, all'improvviso — tutto restituire come fontana zampillante, profondità fatta altezza, svezzata dal dolore, trasfigurata. Mai però raccontare: ho scritto a quello, ho baciato quell'altro.
« Rallegrati, ben presto tutto finirà!» — così parla l'anima alle mie labbra. E abbracciare un albero o una persona per me è lo stesso. È lo stesso.
Questo è un aspetto. Ora l'altro. Boris mi ha donato Te. E non appena ricevuto il dono, ecco che io voglio <>tenerTi > tutto per me. Brutta faccenda. E abbastanza dolorosa, per lui. Per questa ragione gli ho spedito le lettere.
Le Tue care fotografie. Vuoi sapere come appari in quella più grande? Come qualcuno che sta all'erta e poi venga chiamato d'improvviso. Mentre l'altra, quella piccola, è un commiato. Qualcuno che, in procinto di partire (i cavalli già aspettano), getta ancora uno sguardo, apparentemente fugace, al suo giardino, come a una lettera scritta prima di inviarla. Non vuole strapparsene, soltanto liberarsene. Qualcuno che lascia cadere — lieve — tutto un paesaggio. (Rainer, prendimi con Te!)
Hai occhi chiari, Tu, d'acqua chiara, come Ariadna, mentre il solco (verticale!) fra le sopracciglia l'hai preso da me: l'avevo già da bambina, sempre con le sopracciglia aggrottate, per via dei pensieri o della collera.
(Rainer, mi sci molto caro e voglio venire da Te.)
La Tua elegia. Per tutta la vita, Rainer, io mi sono data nei versi, a tutti. Anche ai poeti. Ma ho sempre dato troppo, il tono della mia voce ha sempre superato ogni possibile risposta. La risposta se ne impauriva. Io le sottraevo in anticipo tutta l'eco. Per questo i poeti non hanno mai scritto poesie per me (nemmeno brutte, meglio di niente!), e io sorridevo: lasciano che a farlo sia colui che verrà fra cent'anni.
E la Tua poesia, Rainer, una poesia di Rilke, del Poeta, una poesia... della Poesia. E il mio silenzio, Rainer. Situazione inversa. Situazione giusta.
Oh, io Ti amo, non so dirlo diversamente; è la prima venuta, anzi, la prima e la benvenuta parola.
Rainer, ieri sera sono uscita a ritirare il bucato, stava per piovere. E ho accolto fra le braccia tutto il vento, anzi, tutto il nord. E aveva il Tuo nome. (Domani sarà il sud!) Non l'ho accolto in casa, se n'è rimasto sulla soglia. Non è entrato in casa, ma mi ha portata con sé sul mare, appena mi sono addormentata.
«Dispensatori di segni, e nulla più».
E quell'essere in- ed es-clusi degli amanti («Dal centro del Sempre»...).
E il lungo tacito vagabondaggio della luna.
E comunque tutto ciò non altro significa se non:
Ti amo.
Marina
Caro! Ti voglio regalare una frase, forse non la conosci.
Il dolore è una parola vera, il dolore è una parola buona, il dolore è una parola misericordiosa
(Santa Cunegonda, mit secolo).'
Marina Cvetaeva
St. Gilles, 14 giugno 1916
Ascolta, Rainer, che Tu lo sappia fin dal princi-pio. lo sono cattiva. Borís è buono. E a causa della mia cattiveria ho taciuto: soltanto qualche frase su quanto vi è in Te di russo, in me di tedesco, ecc. E d'un tratto la lamentela: «Perché mi escludi? lo lo amo quanto l'ami Tu»:
Che cosa ho provato? Pentimento? No. Mai. Neanche un po'. In vece di un sentimento, l'azione. Ho trascritto per lui le Tue due prime lettere e glie-le ho spedite. Che cosa potevo fare di più? Oh, sono cattiva, Rainer, non voglio alcun confidente, fos-s'anche Dio in persona.
Io sono molte persone, m'intendi? Forse infinite! (Un'infinità insaziabile!) Nessuna deve sapere dell'altra, non è bene. Quando sto con mio figlio, colui (colei?) no - ciò che Ti scrive e Ti ama non deve esserci.
Quando sto con Te ecc. Esclusività e chiusura. Non soltanto intorno a me, neppure dentro di me voglio avere confidenti. Per questo nella vita sono bugiarda (vale a dire taciturna, e se costretta a parlare - bugiarda), sebbene in una vita diversa io sia ritenuta sincera, e lo sia. Sono incapace di condividere.
E tuttavia ho condiviso (è stato due o tre giorni prima della Tua lettera). No, Rainer, non sono bugiarda, sono troppo sincera. Se io buttassi lì parole semplici e lecite - scrivessi lettere, amicizia - andrebbe tutto bene! ma so che tu non sei scriversi lettere nè amicizia.
Nella vita delle persone io voglio essere ciò che non è causa di male e per questo mentisco - a tutti, tranne a me stessa.
Situazione equivoca che mi accompagna da tutta la vita. « Poichè non sono autentico la dove sono piegato ». Non autentica, Rainer, e non: bugiarda!
Se io getto le braccia al collo a uno sconosciuto, è naturale, se lo racconto, diventa innaturale (per me stessa!). Se però lo dico in una poesia, è naturale. Dunque, l'azione e la poesia mi danno ragione. "ciò che sta in mezzo" mi accusa. "ciò che sta in mezzo" è menzogna, non io. Se riferisco la verità (braccia al collo), è menzogna. Se riferisco la verità (braccia al collo), è menzogna. Se taccio, è verità.
Intimo diritto a mentenere il segreto. Ciò non riguarda nessuno, nemmeno il collo intorno a cui sono state gettate le mie braccia. Affari miei. E considera che per di più io sono una donna, sposata, con figli, ecc.
Rinunciare? Oh, non è mai così importante da valerne la pena. Già io rinuncio troppo facilmente. D'altro canto, quando faccio un gesto sono conten-ta di aver ancora potuto fare un gesto. È così raro che le mie mani vogliano qualcosa!
Sprofondare in me stessa e, dopo giorni o anni — imprevisto, all'improvviso — tutto restituire come fontana zampillante, profondità fatta altezza, svezzata dal dolore, trasfigurata. Mai però raccontare: ho scritto a quello, ho baciato quell'altro.
« Rallegrati, ben presto tutto finirà!» — così parla l'anima alle mie labbra. E abbracciare un albero o una persona per me è lo stesso. È lo stesso.
Questo è un aspetto. Ora l'altro. Boris mi ha donato Te. E non appena ricevuto il dono, ecco che io voglio <>tenerTi > tutto per me. Brutta faccenda. E abbastanza dolorosa, per lui. Per questa ragione gli ho spedito le lettere.
Le Tue care fotografie. Vuoi sapere come appari in quella più grande? Come qualcuno che sta all'erta e poi venga chiamato d'improvviso. Mentre l'altra, quella piccola, è un commiato. Qualcuno che, in procinto di partire (i cavalli già aspettano), getta ancora uno sguardo, apparentemente fugace, al suo giardino, come a una lettera scritta prima di inviarla. Non vuole strapparsene, soltanto liberarsene. Qualcuno che lascia cadere — lieve — tutto un paesaggio. (Rainer, prendimi con Te!)
Hai occhi chiari, Tu, d'acqua chiara, come Ariadna, mentre il solco (verticale!) fra le sopracciglia l'hai preso da me: l'avevo già da bambina, sempre con le sopracciglia aggrottate, per via dei pensieri o della collera.
(Rainer, mi sci molto caro e voglio venire da Te.)
La Tua elegia. Per tutta la vita, Rainer, io mi sono data nei versi, a tutti. Anche ai poeti. Ma ho sempre dato troppo, il tono della mia voce ha sempre superato ogni possibile risposta. La risposta se ne impauriva. Io le sottraevo in anticipo tutta l'eco. Per questo i poeti non hanno mai scritto poesie per me (nemmeno brutte, meglio di niente!), e io sorridevo: lasciano che a farlo sia colui che verrà fra cent'anni.
E la Tua poesia, Rainer, una poesia di Rilke, del Poeta, una poesia... della Poesia. E il mio silenzio, Rainer. Situazione inversa. Situazione giusta.
Oh, io Ti amo, non so dirlo diversamente; è la prima venuta, anzi, la prima e la benvenuta parola.
Rainer, ieri sera sono uscita a ritirare il bucato, stava per piovere. E ho accolto fra le braccia tutto il vento, anzi, tutto il nord. E aveva il Tuo nome. (Domani sarà il sud!) Non l'ho accolto in casa, se n'è rimasto sulla soglia. Non è entrato in casa, ma mi ha portata con sé sul mare, appena mi sono addormentata.
«Dispensatori di segni, e nulla più».
E quell'essere in- ed es-clusi degli amanti («Dal centro del Sempre»...).
E il lungo tacito vagabondaggio della luna.
E comunque tutto ciò non altro significa se non:
Ti amo.
Marina
Caro! Ti voglio regalare una frase, forse non la conosci.
Il dolore è una parola vera, il dolore è una parola buona, il dolore è una parola misericordiosa
(Santa Cunegonda, mit secolo).'
Marina Cvetaeva