letture dell'adolescenza
La terra promessa Poesia di Giuseppe Ungaretti Dileguandosi l'ombra, In lontananza d'anni, Quando non laceravano gli affanni, I Dileguandosi l’ombra, In lontananza d’anni, Quando non laceravano gli affanni, L’allora, odi, puerile Petto ergersi bramato E l’occhio tuo allarmato Fuoco incauto svelare dell’Aprile Da un’odorosa gota. Scherno, spettro solerte Che rendi il tempo inerte E lungamente la sua furia nota: Il cuore roso, sgombra! Ma potrà, mute lotte Sopite, dileguarsi da età, notte? (...) III Ora il vento s’è fatto silenzioso E silenzioso il mare; Tutto tace; ma grido Il grido, sola, del mio cuore, Grido d’amore, grido di vergogna Del mio cuore che brucia Da quando ti mirai e m’hai guardata E più non sono che un oggetto debole Grido e brucia il mio cuore senza pace Da quando più non sono Se non cosa in rovina e abbandonata (...) IV Solo ho nell’anima coperti schianti, Equatori selvosi, su paduli Brumali grumi di vapori dove Delira il desiderio, Nel sonno, di non essere mai nati. (…) VII Nella tenebra, muta Cammini in campi vuoti d’ogni grano: Altero al lato tuo più niuno aspetti. VIII Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto; Replica il mio le care tue fattezze; Nulla contengono di più i nostri occhi E, disperato, il nostro amore effimero Eterno freme in vele d’un indugio. IX Non più m’attraggono i paesaggi erranti Del mare, né dell’alba il lacerante Pallore sopra queste o quelle foglie; Nemmeno più contrasto col macigno, Antica notte che sugli scoglie porto. Le immagini a che prò Per me dimenticata? (…) X. Non odi del platano Foglia non odi a un tratto scricchiolare Che cade lungo il fiume sulle selci? Il mio declino abbellirò stasera; A foglie secche si vedrà congiunto Un bagliore roseo. XI E senza darsi quiete Poiché lo spazio loro fuga d’una Nuvola offriva ai nostri intimi fuochi, Covandosi a vicenda Le ingenue anime nostre Gemelle si svegliarono, già in corsa. XII A bufera s’è aperto, al buio, un porto Che dissero sicuro. Fu golfo costellato E pareva immutabile il suo cielo; Ma ora, com’è mutato! (...) XIII. Sceso dall'incantevole sua cuspide Se ancora sorgere dovesse Il suo amore, impassibile farebbe Numerare le innumere sue spine Spargendosi nelle ore, nei minuti. Spargendosi nelle ore, nei minutì XIV Per patirne la luce, Gli sguardi tuoi, che si accigliavano Smarriti ai cupidi, agl'intrepidi Suoi occhi che a te non si soffermerebbero Mai più, ormai mai più. Per patirne l'estraneo, il folle Orgoglio che tuttora adori, A tuoi torti con vana implorazione La sorte imputerebbero Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi; Ma grazia alcuna più non troverebbero, Nemmeno da sprizzarne un solo raggio, Od una sola lacrima, Gli occhi tuoi opachi, secchi, Opachi, senza raggi. XV. Non vedresti che torti tuoi, deserta, Senza più un fumo che alla soglia avvii Del sonno, sommessamente. XIX. Deposto hai la superbia negli orrori, Nei desolati errori. da Cori descrittivi di stati d'animo di Didone Giuseppe Ungaretti ricordo del gennaio 1984
Nessun commento:
Posta un commento
commenta questo post