Poesia femmina
La ladra Che dire quando il tuo uomo siede a terra in tuta, con l'ultimo progetto dispiegato davanti come un piccolo mondo, piantine e foto, diagrammi e mappe, tutto quello che spera di innalzare, inventare o creare, e tu in lui credi come hai sempre fatto, perfino dopo che posi in terra il tuo caffè e vai verso di lui, nel posto dove siede dimentico di te, e si concentra in un quadrato di sole — cammini sui righelli e la carta azzurra dei diagrammi per accovacciartigli dietro e lui lo nota appena, benché tu stia ancora in vestaglia e questa cada giù, aprendosi un po' mentre arrivi a circondargli il petto, avverti la ruota rosata dei capezzoli, il battito lento del suo cuore, con l'orecchio contro la sua schiena ad ascoltare, e tu sei lacerata, non volendo interrompergli il lavoro ma incapace di trattenere le dita dal tuffarsi nella trincea dei suoi calzoni, di nuovo squarciata dalla tenerezza al modo in cui la carne senza volerlo gli cresce verso il tuo palmo piegato, verso la luce, quasi tu l'avessi piantata, questa dolce radice, la tua bocca già un'eco della sua forma — ti sfugge la lingua nel suo orecchio e il tuo richiamo udito lo distoglie dal suo lavoro, dalle linee ad angolo dei suoi pensieri, fin dentro al luogo senza forma dove sei costretta a condurlo, sopra i ponti di osso, oltre confini di pelle, e gli ti arrampichi sopra dentro al mondo del corpo, al suo labirinto di scale a gradini e a pioli — e tu lo ami, con dosi uguali di aspettativa, timore e stupore, portandolo con te dentro la morbida geometria della carne, dentro la terra prima dei suoi marciapiedi e città, delle sue guglie scintillanti, riportandolo via dal mondo che ama dentro quest'altro mondo che non può edificare senza te. Dorianne Laux Traduzione di Fiorenza Mormile
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