Richard Ford - Infiniti peccati
Quando Howard raggiunse lo spiazzo asfaltato della stazione della Arco, voltò a sinistra per entrare nella cabina telefonica e cominciò a premere sui tasti numerati, anche se, mentre lo faceva, storceva il collo nella sua direzione, sorridendo, da un telefono all’altro: ciascuno dei due che chiamava il proprio coniuge per raccontare dove si trovava, lasciando fuori la parte più importante della storia. Ecco come, nel modo più assoluto, non doveva essere la vita, pensò lei. La vita doveva essere onesta e regolare. Frances avrebbe voluto essere lì da sola, e che non ci fossero bugie. Come sarebbe stato bello. Essere lì a Flagstaff, tutta sola.
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Una piccola incrinatura d’irascibilità che decisamente lui non apprezzava aveva cominciato ad allargarsi tra loro per tutta la strada fino a Flagstaff. Era la stessa cosa che dovevi sopportare nel posto di lavoro. Sennonché, proprio perché era il posto di lavoro e non la tua vita reale, non te lo trovavi sul gobbo, chiunque fosse, come ora ti trovavi sul gobbo quella svitata di Frances. Cosa che spiegava perché era così bello essere sposati: almeno per come la vedeva lui; se sposavi la persona giusta (e lui l’aveva sposata), non c’erano fatti imprevedibili e sorprese sgradite. Più conoscevi quella persona giusta, meglio andavano le cose: invece di peggiorare e diventare più scoraggianti. Amavi quelle cose e amavi la vita. L’istituzione ti permetteva di scendere in profondità, dove sentivi delle cose serie che altrimenti non avresti mai sentito. Non c’era posto per scappatelle idiote e superflue come questa. Lui era sposato da troppo poco tempo – solo un anno – per apprezzare pienamente tutto ciò, ma cominciava a farlo.
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Non c’era posto per scappatelle idiote e superflue come questa. Lui era sposato da troppo poco tempo – solo un anno – per apprezzare pienamente tutto ciò, ma cominciava a farlo.
Abisso
Richard Ford
Infiniti peccati [racconti]
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