lettera di Jana Cerna all'amante - 1 / 3
Lettera d'amore
Praga, attorno al 1962.
Caro, caro, caro e insomma, ecco, dunque, per quel che ne so, ho preso in prestito questa macchina per poter assicurare, scrivendo, la base materiale di sussistenza per i bambini, per noi, insomma per tutti, e adesso invece eccomi qui a scrivere una lettera d'amore - c'è qualcosa da qualche parte che non funziona - o forse al contrario tutto è in perfetto ordine, solo che poi è una situazione di merda in un altro senso, e quindi non c'è scelta.
Sento però i Tuoi baci ancora sulle labbra - dirla in modo più banale forse neanche si può, ma è così e io sono già abbastanza in là con gli anni per non dover evitare le banalità. Abbastanza in là con gli anni e abbastanza innamorata -perchè oltre a tutto ciò di cui abbiamo parlato e che riguarda noi, sono anche innamorata -lo scopro alla mia età con uno stupore un po’ divertito, ma siccome il mondo davvero non è credibile neanche un po’, lo prendo come un dato di fatto. Prendila così anche tu. Se avessi la tendenza a drammatizzare le cose, diventerei fatalista e sarei convinta che in questo rapporto c'è qualcosa di predestinato, ma fatalista non sono e così mi dico solo che Dio è potente e sia fatta la sua volontà - soprattutto se corrisponde così perfettamente a ciò che mi fa piacere.
Uno spettatore non partecipe potrebbe dire che se non ci fossimo conosciuti, ci saremmo potuti risparmiare svariate cose, io però non avrei voluto risparmiarmi neanche una delle nostre situazioni incasinate, neanche le cose cattive - o apparentemente cattive - mi sarei voluta risparmiare - è anche per questo forse che non mi hanno risparmiato, che Dio ne sia lodato.
Dici che non mi piace il Tuo sentimentalismo - Ti sbagli di grosso, tesoro, Ti sbagli davvero di grosso. Mi piace molto e ne ho bisogno solo che ho avuto bisogno anche di molti anni per poterci credere. Oggi lo voglio, non perché io abbia scoperto un particolare gusto per il sentimentalismo, ma perché proviene da Te, è semplicemente parte di Te; parte di noi.
Non ho mai avuto una tendenza particolare a mantenere un atteggiamento ragionevole, forse semplicemente perché ragionevole non lo sono per niente, o forse dipende dal fatto che provo nei confronti degli atteggiamenti sani e ragionevoli una ripugnanza quasi fisica. Se e quando nella vita ho combinato qualcosa di cui vergognarmi, sono sempre state cose che ho combinato per voler essere ragionevole. No grazie, difendetemi dalla peste, dal tifo e dalla ragionevolezza, ragionevolezza sono i manifesti contro l'alcolismo e gli stati centralisti, ragionevolezza sono i preservativi e i televisori, ragionevolezza è la poesia al servizio di un ideale positivo, risparmiatemi per carità la ragionevolezza, con la mia vitalità sono in grado di sopportare più di chiunque altro, ma di ragionevolezza potrei morire entro una settimana della morte più triste che esista, la ragionevolezza liquida dentro di me tutto ciò che in me abbia un senso, la ragionevolezza mi priva della potenza, di qualsiasi potenza, da quella erotica a quella intellettuale. Mi si creda quindi quando dico che non è la ragionevolezza ciò che mi induce a pensare che se staremo insieme sarà in seguito a una riflessione veramente libera. Ma proprio perché non ho neanche un pizzico di questa oscura qualità così altamente stimata e riverita in questo mondo irrazionale, proprio per questo quindi non sono in grado di pormi alcun limite, non voglio pormelo. Non è parte del mio mondo. Se sento il Tuo bacio, voglio essere baciata ancora e penso che vada bene così.
In questo periodo sono stata molte volte felice con Te - solo lo sono sempre di più, non è normale, ma continua a crescere, penso di non essere mai stata così felice come oggi, forse sono matta e forse sono io questa volta a essere insopportabilmente «sentimentale», ma non ci posso fare niente, per tutto questo tempo sono stata follemente e spensieratamente e tranquillamente e splendidamente felice. E lo sono anche adesso nonostante Tu non sia qui e nonostante che se Tu fossi qui, starei a scrivere la mia novella e Tu staresti seduto di fronte o accanto o in qualsiasi altro posto, ti occuperesti delle tue cose e sarebbe bene, sarebbe ottimo e sarebbe veramente un essere a casa, così come mi immagino l'essere a casa e come lo voglio e ne ho bisogno.
Ma nonostante non sia così e nonostante Tu sia da qualche parte spaventosamente via, nonostante ciò sono felice, soltanto che non sono potuta rientrare a casa e cominciare a trafficare come se niente fosse, giusto per fare qualcosa, così ho cominciato a scrivere una lettera che non ha nessuno scopo ne senso, con la quale non voglio dire nulla ne risolvere nulla, penso proprio di non doverlo spiegare, lo capirai senz'altro e non Ti darà fastidio. Ci troveremo ancora spesso nella situazione di dover decidere le cose, e va bene; ma ci saranno anche volte in cui faremo le cose solo così, per la gioia di farle, per una sensazione di felicità o chissà per che diavolo di ragione, insomma proprio così come sto scrivendo ora.
Non puoi sapere quanto sono orgogliosa (è una tendenza che ho sempre avuto, come forse sai), ne puoi sapere come sono infinitamente orgogliosa del fatto di averTi, del fatto che mi ami (perché credo che Tu mi ami) del fatto che Ti amo io, di come sei e di chi sei. Dire che Ti stimo sarebbe sì la verità, ma non tutta la verità, solo un pezzetto. Ma è ancora diverso, è la sicurezza della Tua irripetibile eccezionalità a essere la fonte del mio orgoglio. Non ammiro il Tuo intelletto, lo considero ovvio, quello va bene. Ma quello che mi eccita quasi fisicamente è la fantastica miscela di intelletto e irrazionalità logica fino al delirio, quella poesia filosofica, quella filosofia poetica della quale abbiamo parlato un po’ oggi, la cui portata va molto più lontano, oltre i limiti di ciò di cui abbiamo parlato oggi. Perché in realtà non esistono le due cose una accanto all'altra - la filosofia e la poesia - in realtà, è dalla loro unione che si forma un terza cosa il cui valore non è oggi ancora comprensibile.
Non c'è errore più grande della tua paura della ciarlataneria, anche se è del tutto comprensibile. Nasce dal pregiudizio secondo cui la filosofia è il risultato tedioso dell'erudizione e la poesia un lavoro diligente atto a costruire il ruolo ereditario della nazione. Ne l'una ne l'altra cosa corrispondono a verità, la filosofia erudita è infatti buona in ambito accademico e per i cervelli sterili della gente che in essa cerca la giustificazione della propria nullità e la poesia laboriosa è una affaticata assurdità per antologie di lettura, per eccitare le insegnanti di economia domestica che tentano così di addolcire il proprio destino, peraltro abbastanza amaro. Posso capire che non è facile liberarsi di questi pregiudizi, ma ciò nonostante vorrei dirTi che liberarTene è per Te un dovere; altrimenti diventerebbero una palla al piede che Ti inchioderebbe alla schiavitù dell'essere servo. Tali pregiudizi sono infatti solo a un passo dall'idea che la filosofia deve avere un'utilità e che la poesia deve rendere felici, a un passo dalla terrificante situazione in cui entrambe perdono il senso che hanno di per se e si comincia ad attribuirgli mille sensi differenti, cominciano a inquinarsi di quel servilismo di cui parlo, e che è la peste di questo secolo e forse di molti secoli del passato. Cominciano a inquinarsi in modo tale che in ultimo perdono definitivamente qualsiasi senso. Chissà perché diavolo la maggior parte della gente che si occupa di produrre poesia pensa che essa debba servire a qualcuno o a qualcosa, a tal punto che scrive per persone delle quali non gli importa nulla e alle quali con i soldi guadagnati non offrirebbe neanche un bicchierino di rum. Grazie a questo stato di cose, da una parte si guasta la poesia e dall'altra ne vengono guastati con una insistenza degna di miglior causa i beneficiari, ai quali viene inculcato a forza nella testa che la poesia, creata da uno con il quale non resisterebbero allo stesso tavolo neanche mezz'ora, questa poesia procurerà loro sensazioni inattese e la felicità stracotta e distillata di una emozione culturale.
La filosofia finisce anche peggio: se la poesia in questo modo diventa una serva, la filosofia diventa una ragazza di buona famiglia proletarizzata, la quale si è messa a fare la donna di servizio, cosa che peraltro non sa fare, ma in compenso ci guadagna un buon profilo quadri. Da una parte le si richiedono una noia e una indigeribilità tali che una persona perbene non è in grado di consumarla senza sentirsi imbarazzata; la può trovare eccitante solo un professore universitario, impegnato a verificare che i soldi spesi per la sua istruzione non sono stati spesi invano; la cosa è particolarmente esaltante per i ragazzi di famiglia povera che ce l'hanno fatta, e il tutto sa di commoventi immagini di mamme che mantengono agli studi i figli pieni di talento lavando mutandoni militari. D'altra parte si vuole dalla filosofia che giustifichi e sopporti tutto il peso dell'imbecillità umana, sulla sua base vengono costruiti gli Stati e viene utilizzata come scopetta per la pulizia delle latrine, deve servire da giustificazione per l'arresto di ministri e per l'aumento del prezzo del burro, e lo deve fare con persone che non sono capaci ne disposte a comprendere uno solo dei suoi postulati. Non ne sono capaci perché sono ignoranti, è un circolo vizioso che genera altri orrori ancora, per esempio la spocchiosa sensazione di superiorità e di potere di coloro che pensano erroneamente di aver capito qualcosa. Ogni cretino medio, che solo per puro caso non fa il contabile, con quel suo grammo di cervello riempito di sconfinate nozioni - in parte inutili e in parte per lui inutilizzabili - ogni cretino medio ha la fissazione di dover diventare primo ministro, essere lui a governare il mondo, che diventerebbe subito «un mondo migliore», basta che gli diate in mano qualche chilo di letteratura filosofica e vedrete come ve lo combina, il mondo.
Sta di fatto che in realtà ogni postulato filosofico ha senso di per se stesso e ogni definizione poetica è un oggetto di valore che non è necessario valorizzare ulteriormente dandogli un fine. Ed ecco quello che volevo dire: che la vera ciarlataneria non è quella che eserciti tu, vera ciarlataneria sono le scuole dalle quali escono filosofi laureati, gente con il brevetto per pensare filosofia - che razza di assurdità mostruosa e disumana è quella di esaminare qualcuno su quanto sa del contenuto di un numero X di manuali e laurearlo di conseguenza in filosofia, di che razza di follia si tratta, che ti mozza il fiato e ti costringe in isteriche convulsioni di risa e di spavento disperato e di paura! Non ha in comune con la filosofia neanche quello che ho io in comune con una casalinga esemplare, è qualche cosa da cui bisogna isolarsi per principio e totalmente, neanche una delle verità scoperte da costoro può infatti essere accettata, è stata scoperta in un contesto in cui non può essere vera neanche lo fosse. In una delle Tue lettere scrivi che il Tuo lavoro filosofico lo hai svolto in giro per birrerie, in compagnia della mia fica, nella disperazione, nel cinismo e nell'infamia, dappertutto ma non nelle biblioteche. Non è proprio così, ma lo è in buona misura, lo è insomma senz'altro, senza badare al fatto che durante quel periodo Tu sia stato qualche volta anche in biblioteca. Grazie a questo il Tuo lavoro è quello che è, e così è servito anche a fini diversi da quelli puramente filosofici, il che può essere un punto di partenza su cui è possibile costruire. Non credo e non riuscirò mai a credere che in filosofia sia possibile raggiungere qualcosa per una via arida, per la via dell'erudizione, per la via del lustro nozionismo. Non so cosa c'è di più eccitante della filosofia, ma chi può combinare qualcosa in filosofia se esclude da essa questa orgiastica eccitazione, vorrei proprio vederlo. Assomiglia a uno scopare esercitato con pillole perfettamente disinfettate e non dannose alla salute - solamente che la filosofia non è scevra dall'essere dannosa alla salute, e non è possibile esercitarla in questo modo. Liberati per cortesia del trauma che Ti viene dal fatto che la Tua filosofia non è abbastanza noiosa da diventare ornamento delle biblioteche accademiche, questa è una sua qualità, non un suo difetto e soprattutto è la sua maggiore speranza, non permettere Ti prego che questa speranza venga affogata dalle stille di un erudito sudore! Se per ora hai avuto bisogno di produrre la Tua filosofia in giro per birrerie, ne è risultato che va bene così. Perché allora quel convulso bisogno di fatica e di erudizione? Se questo bisogno diverrà un giorno davvero spontaneo allora sia, uno dei doni che in parte hai e in parte hai pagato e riscattato a caro prezzo è proprio questa armonia tra bisogno e senso. Significa che in genere hai sentito il bisogno di fare cose che hanno senso, anche se nel momento dato è un senso del quale addirittura non sei a conoscenza, ovvero che si manifesta solo dopo un po’ di tempo, qualche volta perfino dopo molto tempo. Fidati un po’ di Te stesso, la carenza di consapevolezza dei propri mèzzi e la sottovalutazione delle proprie possibilità è infatti uno dei peccati mortali, veramente e letteralmente mortali, dei peccati dei quali si muore. Forse anche più che di sopravvalutazione. Devi infatti essere cosciente delle Tue possibilità, già semplicemente perché Tu possa utilizzarle, perché Tu riesca a farci ciò per cui Ti sono state date. Sarebbe abbastanza difficile un giorno rendere conto del fatto che ti sei fatto accecare da una cosa così dubbia come i complessi.
In questo senso infatti la modestia non è una virtù, in questo senso la modestia è nel migliore dei casi una stupidità. Ti è stata data una fantasia quasi fantastica, una fantasia che è terreno di coltura per la poesia e per la filosofia, e terreno di coltura per ciò che per ora non so nominare, e cioè per quella cosa che si forma come composto omogeneo di entrambe. La cosa peggiore sarebbe bardare e imbrigliare questa fantasia con gli assiomi dei dizionari di filosofia. Chiuderla ben bene a chiave in una stanza perché non Ti disturbi nel lavoro che stai facendo nella stanza accanto. Se c'è una reale e concreta speranza che Tu maturi un frutto (e c'è), succederà solo se in esso sarai contenuto tutto intero, con i calzini; la barba, la birra, la fantasia, l'intelletto, l'uccello, con tutto quanto. Niente mi eccita più della speranza in un'opera che nascerà in diretta dipendenza da tutte queste cose, la speranza in un'opera dalla quale niente verrà eliminato, la speranza in un'opera non censurata, cruda, crudele e mostruosa, ma assoluta. Un'opera che sarà dannosa alla salute, che dopo averla consumata farà vomitare e farà cacare, che dopo averla consumata farà venire allo stesso tempo un senso di felicità e un senso di terrore, un opera che non avrà limiti e che non permetterà che limiti le vengano imposti, mai e da nessuno.
E di niente sono così convinta come del fatto che tale frutto lo darai in tutta la sua dolcezza e convulsione orgasmica. Ma è proprio per questo che non voglio che Tu ne allontani la maturazione con dei pregiudizi che sono di un altro mondo e non del nostro. Nessuna puttanata che potrai fare, nessuna assurdità e nessun delitto che commetterai, è un difetto. Ma la meschinità lo è, e i complessi e il sottovalutarsi sono meschinità, questo lo sappiamo tutti e due. Capiscimi bene, tesoro, è tutto indissolubilmente legato, il fatto che Ti amo e voglio venire a letto con Te col fatto che sono attaccata al Tuo lavoro, difficile dire quanto, nell'eccitazione che mi procuri, è dovuto al Tuo corpo che conosco così intimamente; e posso parlare con Te di filosofia a letto, e mi si mette la fica sull'attenti se ne parliamo a tavola, non è proprio possibile separare e astrarre una cosa dall'altra. Voglio passare con Te ore e ore a chiacchierare per poter venire a letto con Te e voglio scopare con Te per arrivare a ore e ore di conversazione, voglio, anzi devo sapere che sia l'andare a letto sia le ore passate a chiacchierare hanno a che vedere col Tuo lavoro, tutto ciò non avrebbe senso se quel legame non fosse così stretto, così forte e così intrecciato come me lo immagino. Forse un giorno arriveremo al punto che staremo veramente insieme in tutto e per tutto, e sarà più che felicità, ma scapperò immediatamente non appena si perderà questo unico senso vero e concreto, scappo via e mi prendo per marito un ingegnere con la Skoda perchè a quel punto sarebbe esattamente lo stesso.
E devo sapere sempre tutto di Te, amore mio, ricordaTelo, devo sapere tutto, senza riserve. Non ho bisogno di sapere che cosa hai fatto che sei stato una settimana via da casa, non devo sapere perche hai fatto tardi a cena e sei arrivato così sbronzo che Ti hanno dovuto portare a braccia, di questo posso fare benissimo a meno. «Avevi detto che tornavi alle due e sei tornato alle otto e per giunta la settimana dopo, adesso mi dici immediatamente chi è la puttana che ti ha allontanato dal focolare domestico!», e lui dice che non è stata una puttana ma il compagno direttore che aveva l'onomastico e «devi ammettere, tesoro, che non potevo dirgli di no!», cosa che lei ammette fino a quando qualcuno non le dice che la puttana aveva i capelli biondi e le gambe storte, dopodiché segue la scena strappalacrime «come hai potuto!» e la riconciliazione a letto, che ha per conseguenza da una parte la proliferazione della famiglia e dall'altra una nuova puttana, questa volta coi capelli neri. Basta così, di questo posso veramente fare a meno.
Devo però sempre sapere che comunichi con me le cose fondamentali fino al limite in cui sono ancora comunicabili, e forse anche un pezzetto più in là. E non perché io lo voglia, e neanche perché Tu stesso ne senti il bisogno, bensì perché Ti serve, perché hai la sensazione e la coscienza che un contatto così stretto fa parte di Te, quindi anche del Tuo lavoro e che è creativo. Devo saperlo per trovare il coraggio di stare con Te, per assicurarmi che ne ho il diritto, capisci? Ti amo davvero immensamente - la parola amo è un po’ assurda in questo caso perché si tratta di qualcosa di diverso, mi sento legata a Te con tutto ciò che è proprio della mia persona e questo è ancora diverso dall'amare - ma proprio perciò nel nostro rapporto sono completamente libera. Vorrei che Tu avessi di me una sicurezza totale, sai? E anche qui, non l'imbecille sicurezza coniugale, quella non ci interessa e qualche volta me la rido allegramente dicendomi che c'è da aver paura che proprio quella sicurezza ci caschi in grembo contro ogni presupposto, non sia mai che un giorno scopriamo di essere reciprocamente fedeli soltanto per il fatto che tutto il resto ha perso ogni attrattiva. Vorrei Tu fossi sicuro che Ti appartengo senza riserve, che cioè non farei nulla e non penserei nulla che potesse metterti in pericolo. Vorrei - e lo vorrei per la prima volta nella vita - che da me Tu Ti sentissi al sicuro, la sicurezza di una inalterabile fiducia e di una inviolabile confidenza.
Lo voglio, come ho già scritto, per la prima volta nella vita, non l'ho mai voluto per nessuno e per tutti questi anni non ho saputo mai volerlo per Te. Considero questa mia incapacità nel passato come una delle cause dei nostri guai, ci ho pensato molto negli ultimi tempi e penso di non sbagliarmi. Bisogna saper amare, io l'ho imparato a un prezzo piuttosto alto. Benché sapessi da tempo quanto dipendo da Te, mi ero sempre tenuta aperta quella via di fuga che negli ultimi tempi non ho chiuso ma proprio murato. Non puoi immaginare che sospiro di sollievo ho tirato quando me ne sono resa conto. Ora non c'è fretta alcuna e il mio «amo» di oggi non è per nulla impaziente, è privo di paura e di timori; e anche quando penso realmente a stare con Te, non è un pensiero frenetico, benché sia eccitante al massimo, non è arroccato sulle posizioni del «noi ci amiamo ed è per questo che non abbiamo bisogno di stare insieme» ne sul convulso «noi ci amiamo e per questo dobbiamo stare insieme», forse è la strada verso qualcosa in cui non avrei mai sperato, e cioè verso un rapporto nel quale non vengono poste condizioni. Forse è la strada verso ciò in cui non volevo credere, e cioè verso la situazione in cui due sono più di uno se uno diventano. Forse sotto l'ammasso di moralismi e di scopate legalizzate come ci vengono presentati dalle religioni di tutte le epoche e di tutte le razze, forse sotto questo ammasso è nascosta tale possibilità e forse ci è dato e si vuole da noi che la realizziamo. È difficile dire quando ed è difficile dire come, ma forse è quello di cui parlavi e che io, gravata da vecchi errori e peccati, non potevo capire -in questo i cattolici hanno ragione, i peccati offuscano la mente.
Jana Cerna - In culo oggi no, Ed e/o, Roma, 1992.