domenica 22 marzo 2020

Adesso siamo a casa


Mariangela Gualtieri

Questo ti voglio dire



Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.

Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.

E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere -
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.

Adesso siamo a casa.

È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.

È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.

 

Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.

Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.

Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora -
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.


Mariangela Gualtieri


giovedì 12 marzo 2020

un contatto genuino, onesto, fra di noi


Patrick McGrath



Ci fu, per la prima volta nel corso del nostro rapporto, un contatto genuino, onesto, fra di noi. Tutto il resto era stato indulgenza da parte sua e accettazione da parte mia.

Racconti di follia


domenica 8 marzo 2020

“Sono stato qui.”


Olga Tokarczuk



La vita mi è sempre sfuggita dalle mani. Ho sempre e solo trovato delle tracce, i resti della sua muta. Quando riuscivo a determinarne la posizione, lei era già da un’altra parte. Trovavo solo dei segni, come quelle scritte sui tronchi degli alberi nei parchi:
“Sono stato qui.”

I vagabondi


domenica 1 marzo 2020

e aveva saputo che il senso di colpa era un processo banale.


Marco Missiroli



Ma lei un ventiseienne lo aveva già avuto, e tuttora era il ricordo che tentava di non perdere. Con lui aveva intuito che l’infedeltà poteva significare fedeltà verso se stessa. Andrea. Dopo che era uscita da casa sua, in quella serata di nove anni prima, era passata in agenzia anche se non c’era piú nessuno, si era chiusa in bagno e si era coperta gli occhi con una mano.

Poi se lo era detto: l’hai fatto. Hai preso in bocca ciò che non ti spettava, hai spogliato, ti sei fatta spogliare, hai aperto le gambe sul tavolo della cucina e hai preteso il ragazzo, abbarbicata a lui, le sue spalle forti, la sua presa sicura, ti sei ingozzata, ti sei fatta portare a letto, sentendoti giovane e desiderata e allegra.

Era rimasta a dirselo, chiusa nel bagno della sua agenzia per qualche minuto, percependosi le gambe indolenzite e la pelle scottata, un nuovo odore, infine aveva pronunciato quella parola: deragliare.....
.....
Era rimasta a fissare quelle tre soddisfazioni e aveva saputo che il senso di colpa era un processo banale.
La realtà dei fatti, la grande realtà dei fatti, era che era stato naturale. Aveva scopato un ragazzo che le piaceva e che l’aveva fatta godere. Cosa aveva tolto al suo matrimonio?
.....
Si era masturbata ripensando a come il ragazzo era stato indeciso e allo stesso tempo brutale: come se lo avesse convinto via via che si spogliavano. Per lungo tempo non aveva dimenticato il peso del suo corpo sopra di lei, in quel peso c’era il suo matrimonio.

Fedeltà


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