Leopoldo María Panero (1948-2014)
Dimmi se il mio sguardo distrugge, dimmi se
bruciano i miei occhi più della furia del tempo,
I MISTERIOSI SOPRAVVIVENTI
Dimmi se il mio sguardo distrugge, dimmi se
bruciano i miei occhi più della furia del tempo,
e cos’è questo spazio vuoto dove i sogni promettono suicidio, e chi]
all’angolo continua a divorare la mia testa, e sputa
sul mio cadavere, e ride
quando cade la notte, e piange
e grida quando per disgrazia fa giorno
e mente vestendo la vita con abito di Spettro,
dimmi chi è e che cos’è questa cosa
che fugge dall’essere come il cervo dal
cacciatore al crepuscolo, il vago
crepuscolo che si apre come pianura infinita,
sfidando qualsiasi orizzonte, il vasto
crepuscolo senza prospetto che è già tutta la vita… ma dimmi
chi è, spazzato
ogni segno del cielo e caduta
sulla terra ancora una volta la luna, quando
la notte già non può chiamarsi notte, e
gli uomini si cercano ciechi di notte,
chi allora, dimmi chi, nell’aria senza tempo
razzola ancora e raspa come un maiale nella
pianura senza sonno del niente, e mi
chiede di me, di sé quando
non resta niente da vivere.
Leopoldo María Panero (1948-2014)
[Leopoldo María Panero] Ha trascorso tutta l’infanzia e la gioventù graffiando il ventre della vita, squarciando il ventre della vita per trovarne un senso, ma al senso della vita non ha mai creduto.
A cinque anni terrorizzava il padre, Leopoldo Panero Torbado, poeta “laureato” del regime franchista, scrivendo versi non precisamente propri di una mente infantile (…). A vent’anni, dopo il carcere per l’attività politica antifranchista, prima, e poi per vagabondaggio e omosessualità, una serie di tentativi di suicidio.
E poi, verso la fine degli anni Settanta, verso i suoi trent’anni, già poeta conosciutissimo in Spagna, e dopo aver patito le prime esperienze di trattamento psichiatrico, viene il periodo parigino che diede vita allo splendido “Narciso nell’accordo estremo dei flauti“, un tempo in cui sopravvisse frugando nell’immondizia, cercando nei rifiuti prodotti dalla Città l’alimento quotidiano del corpo e il senso dell’esistenza, perché, come dicevano gli Alchimisti, in stercore invenitur.
E vivendo esperienze sessuali estreme, cercando in Sade e Masoch gli strumenti per
deflorare
con tutto il fango della vita
ciò che ancora non ha vissuto“.
Poi ancora la dipendenza dall’alcool e dalle droghe
(“E nella notte ascoltai il tuo abbraccio
corretto e silenzioso,
signora
bellissima dama
che nella notte giochi
un bianco gioco“.
E
“il diamante è una supplica
che tu inietti nella mia carne
il sole impaurito fugge
quando ciò m’entra in vena“),
che lo condusse alla perdita degli amici e della famiglia, a internamenti manicomiali sempre più frequenti, finché tutto il suo mondo esteriore fu ridotto al perimetro del sanatorio psichiatrico. (Ianus Pravo)
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