domenica 18 dicembre 2016

Non mi stupisco

Marco Luppi

Ma io non sono io. Non più.
Non posso concedermelo.
La lucidità e il disincanto
ancora non mi appartengono.

Non mi stupisco

Del paradosso della poesia
così come quello di ogni altra cosa
tanto invisibile
quanto più rilevante.

Dell’arroganza diventata
più contagiosa della tristezza.

Della critica senza consapevolezza,
delle vittime
che elogiano
la propria ignoranza.

Di uomini troppo stupidi
per notare donne intelligenti
e di donne troppo intelligenti
per farsi notare.

Di chi fa finta di niente
facendo finta di fare.

Del sottile filo
che intercorre
tra l’essere fortunato
e l’essere fottuto.

Dell’umana violenza
per gli esseri viventi
né del culto
dei suoi defunti.

Di un dio che uccide due volte
tutti i suoi devoti.

Di chi paga per essere salvato
da un prete,
da una prostituta
o da un clown.

Della volgarità del bene
e della mediocrità del male.

Dell’odio che unisce
molto più
di quanto l’amore
riesca a fare.

Dei rapporti che ciclicamente passano
dall’amicizia all’odio
per poi conquistare
l’indifferenza necessaria a ripartire.

Dell’intraprendenza di certi maghi
che usano il vostro
buco di culo dentato
al posto del cilindro.

Della pochezza sufficiente
a qualunque travestimento.

Degli oroscopi
che subito dopo i necrologi
sono le cose più autorevoli
riportate sui quotidiani.

Della mancanza di limite
che hanno certe facce.

Di chi vomita parole a spruzzo
e di chi non le smorza
spingendole giù fino in fondo,
fino a imprimersele dentro.

Ché nel giorno di Natale
ci si affeziona
anche alle proprie
inferriate.

Ma io non sono io. Non più.
Non posso concedermelo.
La lucidità e il disincanto
ancora non mi appartengono.
Marco Luppi

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