Domenico Starnone
Mariella
Ma c’era poco da fare, gli scarti violenti del treno – improvvise piccole brusche deviazioni che parevano mirare alle pareti del tunnel come per sbriciolarci le carrozze contro – imponevano alle stoffe vive degli abiti uno strofinio che per Gambia era un piacere sofferto e imbarazzato. Mariella, meno male, sembrava divertita. Sospinti dal peso di chi premeva alle loro spalle, finivano l’uno addosso all’altra a turno. Ondeggiavano stretti, poi venivano bruscamente separati, quindi tornavano a urtarsi. Ari ormai non riusciva piú a impedire il movimento cocciuto con cui il cazzo voleva a tutti i costi sgrovigliarsi, sebbene prigioniero negli slip. Ottusa attivazione di un congegno. O, perché no, innamoramento. Che starà pensando questa donna. A ogni urto Mariella, anche se non poteva non essersi accorta del gonfiore maligno dei pantaloni, per ora non reagiva né come la sera prima né come poco fa quando le aveva detto ironico: perché non lo fai sul serio. Sorrideva, gli parlava nell’orecchio. Scusa, gli disse a un certo punto, e accennò prima dietro di sé, a coloro che le premevano alle spalle, poi al corrimano alle spalle di Ari. Tese il braccio schiacciando ancor piú il seno contro il suo petto, ma le fu difficile arrivarci. Lui le guardò comprensivo le dita che annaspavano. Poi sopravvenne un lacerante schizzar di lato del vagone, quasi un deragliamento, e Mariella gli si afferrò al cappotto con tutt’e due le mani. Scusa, ripeté. Prego, disse lui.
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Domenico Starnone
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