sabato 28 febbraio 2015

sulle ali del desiderio, noi ci sentiamo infiniti

Noi siamo una quantità di potenza, siamo una quantità di potenza finita. Tutto ciò che esiste, esiste perché ha potenza ad esistere.

La nozione freudiana di libido come base energetica, da questo punto di vista è verissima.

Tutto ciò che esiste, esiste perché ha potenza ad esistere.

Ora, sotto la spinta del desiderio, sulle ali del desiderio, quando noi desideriamo un oggetto che ci attrae, ecco, sulle ali del desiderio, noi ci sentiamo infiniti.

C’è un testo che io vi leggo e che dà questa indicazione; ed è tratto dalla Bibbia, in questo molto confluente con quello che abbiamo detto della tradizione greca. È tratto dal Siracide, 23:

una passione ardente come fuoco acceso
non si calmerà finché non sarà consumata;
un uomo impudico nel suo corpo
non smetterà finché non lo divori il fuoco;
per l'uomo impuro ogni pane è appetitoso,
non si stancherà finché non muoia.

Allora l’elemento del desiderio dà una dimensione di onnipotenza. Però noi siamo una quantità finita, non siamo una potenza infinita. Allora l’unico modo per cui questa potenza può essere realizzativa e non dissipativa, è che sia dominata: questa è l’enkráteia.

Ecco perché per i greci il problema della sessualità, di quello che essi chiamavano in generale ‘gli aphrodísia’, cioè tutti quei piaceri associati in fondo al sesso, erano qualcosa che era oggetto della temperanza ed erano assimilati in generale al buon governo del corpo, cioè alla dietetica. Qui non c’era una intenzione repressiva nei confronti della sessualità; come c’è una dietetica nel cibo, ci deve essere una dietetica nei piaceri per evitare appunto che si diventi schiavi, si cada in balìa di essi e si precipiti in quelle che gli antichi chiamavamo ‘le mollities’; cioè ci si rammollisce, ci si indebolisce perché non si riesce a resistere al proprio desiderio, e quindi questa viziosità diventa endemica.

Allora nulla più della sessualità produce questa dimensione di indebolimento, la dimensione endemica.

Però è chiaro che per valorizzare la nostra potenza, per amministrarla e renderla funzionale a tutto il nostro essere bisogna evitare che si veicoli in un lato solo.

Allora è proprio dalla stessa potenza del sesso che nasce l’istanza del suo controllo, è proprio dalla sua capacità radicale di turbamento che nasce l’essenza del controllo. Quindi il controllo non è repressivo ma diciamo, soprattutto nel pensiero greco, è amministrativo.

Non è che il sesso sia male; poi ci sarà una cultura in cui diventerà anche male, però nella cultura greca non è male, non è da negare in quanto male, ma in quanto è troppo forte e quindi non permette all’uomo di diventare signore di sé.

E questo perché il sesso? Perché il sesso è il massimo del piacere.

Nel Filebo, quando Platone parla del bene e si accinge a ragionare del piacere, partiamo dalla dea, da Afrodite, perché simbolo di ogni piacere, e questo è una dimensione ricorrente.

Questa simbolica, poetica, questa riflessione filosofica, in fondo incontra quello che ognuno di noi sperimenta. C’è questa dimensione di eccitazione nei sensi, questo essere travolti, questa dimensione di piacere. Perché, perché la dinamica della sessualità è espansiva, e il problema del sesso è collocato, in genere, in quel tipo di vizi, dicevano gli antichi, che hanno a che fare con i sensi della prossimità, cioè è associato alla gola e al tatto; gli elementi dominanti, gli aspetti di sensibilità dominante sono quelli relativi ai sensi della prossimità, non ai sensi della distanza, perché l’eccitazione può avvenire partendo dai sensi della distanza, però il compimento, la realizzazione, si sviluppa nella prossimità del contatto sino alla fusione, anche se poi è chiaro che nell’esperienza del piacere sessuale ci sono tutti i sensi che convergono, c’è una sinergia generale, anzi uno dei motivi fondamentali per cui nella sessualità si ha il massimo di piacere è perché c’è il concorso generale di tutti i sensi: l’udito, la vista prima, l’odorato, gli elementi anche più primordiali, più animali.

E allora c’è questo senso della espansione; allora questa cosa tremenda, proprio perché dà questo grandissimo piacere ma anche rischia un tremendo asservimento, ha bisogno di essere dominata. Quindi il lavoro sulla sessualità è una dietetica.

Allora, la prima ragione per cui nasce il comandamento, o il precetto nel mondo antico, è appunto evitare che l’uomo sia messo in pericolo da questa sua terribile potenza.

E poi il sesso diventa dominante anche nella pedagogia della Chiesa perché è quella dimensione universale che tutti gli uomini hanno: tutti gli uomini hanno questa pulsione e quindi hanno bisogno di essere regolati. Ora, regolare la sessualità vuol dire entrare nelle dinamiche più proprie della corporeità, quindi nella attenzione alla sessualità c’è un grande processo di individuazione e di lavoro sul corpo, e quindi di controllo della persona.

Ecco perché la sessualità è diventata importante nella pedagogia della Chiesa, è diventata oggetto di una strategia di potere; cioè lavorando sul sesso si lavorava sull’intero del soggetto uomo in ciò che aveva di più potente e di più segreto. Perché è difficile trovare negli uomini una voglia di omicidio; sì, ci sono quelli che uccidono, si può uccidere per ottenere il proprio piacere, certo, però non è nello standard normale; non è normale la voglia del latrocinio, anche se ci sono uomini che rubano; ma il desiderio è una dinamica che tutti hanno in uno stato di relativa normalità; quindi lavorare sulla sessualità voleva dire avere un controllo capillare e generalissimo sulla condotta di tutti, quindi una grande dimensione costruttivo-pedagogico-strategica.

Uno dei motivi fondamentali per cui nella Chiesa la sessualità è diventata dominante non era la gravità della colpa, ma la pervasività della tensione delle procedure, perché come colpa poi, dal punto di vista teologico, il peccato sessuale è il meno grave.

Nell’Inferno di Dante, voi sapete che i lussuriosi stanno all’inizio; non c’è intenzione di male; si subisce il desiderio disordinato ma non c’è una intenzione programmata di male. In questo senso è il peccato meno grave.

Allora, perché il peccato meno grave è diventato l’oggetto della strategia più diffusa?

Perché era il modo attraverso cui si poteva sviluppare un controllo pervasivo generalizzato di tutti entrando e penetrando nella loro intimità.

C’è un secondo aspetto per cui l’interdetto sessuale è stato determinante nella storia, l’ho già accennato, è che, appunto, l’eros attenta ai legami, perché crea legami dove vuole, è capriccioso e spezza quelli che ci sono, e allora nella società vuol dire che attenta alla famiglia.

Ecco perché c’è la formulazione biblica: ‘non commettere adulterio’.

E ‘non commettere adulterio’, nella Bibbia, è abbastanza diverso da quello che si è detto, cioè dire: ‘non commettere atti impuri’. Gli atti impuri riguardano la dinamica sessuale in generale, invece non commettere adulterio riguarda la dinamica sessuale per quel tanto che attenta alla relazione familiare.

Allora, nel Vecchio Testamento, pur essendoci una critica al disordine (lo abbiamo visto nel Libro dei Proverbi), in sostanza non c’è un tabù sessuale, c’è un tabù familiare, non un tabù sessuale. La Bibbia non ha tabù sessuali. Meno che mai i Vangeli. Cioè nel Vangelo non si parla mai di sessualità. Anzi, le compagnie di Gesù erano abbastanza divertenti. Gesù dice: ‘vi lamentavate di Giovanni il Battista che mangiava cavallette e stava nel deserto, e vi lamentate di me che sono con i pubblicani e le peccatrici!’.

E nei lógoi, a parte l’adulterio, Gesù non si accanisce mai sul sesso, non ne parla, perché lo ritiene abbastanza ordinario. Non è anacoreta, Gesù.

Il problema della sessualità si porrà invece in modo molto eminente e chiaro in Paolo; ma non voglio fare un lungo discorso qui sul cristianesimo: voglio soltanto dire l’aspetto per cui la libertà del sesso, oltre ad essere un pericolo, un attentato per il dominio di sé, è un attentato per i legami familiari.

Allora per questo nella Bibbia si dice ‘non commettere adulterio’.

Che non ci fosse un problema di repressione sessuale ma di salvaguardia del legame familiare, noi lo possiamo ricavare da un commento medievale al sesto comandamento, di Rashì, questo ebreo che ha fatto commenti alla Toràh, alla Bibbia.

Nel commento di Rashì si dice: non è adulterio se non è commesso nei confronti di una donna sposata, in quanto è detto: morirà l’adultero e l’adultera - e qui si cita il Levitico, ed è pure precisato - una donna adultera che riceve degli stranieri invece di suo marito.

Allora, laddove non c’è legame matrimoniale, non c’è divieto, perché se divieto è ‘non commettere adulterio’, là dove non c’è legame matrimoniale non c’è divieto.

Quindi il tema dominante del sesto è ‘non essere infedele’, non è ‘non praticare la sessualità’; non essere infedele. E questo è un tema importante.

Quanto la cosa sia evidente poi, lo si trova nella costante metafora biblica del rapporto tra il popolo di Israele e Dio come un rapporto matrimoniale: ‘Io sono un Dio geloso’ e il popolo, che non è fedele a Dio, è paragonato costantemente a una prostituta.

Di Gerusalemme, per esempio, Ezechiele dice: hai concesso i tuoi favori all’Egitto, hai moltiplicato le tue infedeltà; non ancora sazia, hai concesso i tuoi favori agli Assiri, hai moltiplicato le infedeltà nel paese di Canaan fino alla Caldea e neppure allora ti sazi. Ogni prostituta si dà per un compenso, ma tu hai dato un compenso a tutti i tuoi amanti.

Non è che ti sei fatta pagare, hai dato un compenso tu; e quindi la tua abitudine è di tradire, di prostituirti.

Allora la sessualità come fornicazione è quella germinazione costante della infedeltà, e qui c’è un passaggio importante: cioè non è la sessualità che in sé è negativa, ma una sessualità che è praticata al solo scopo del piacere non genera mai legami di fedeltà; cioè l’eros non si trasforma nella sua variante superiore che è la phília, dove in greco ‘phília’ non vuol dire amore, vuol dire amicizia.

Nel film di Kieslowski questo è bellissimo, è evidente, nel senso che la storia della donna che vedrete è la storia di una donna che ha molti amanti ma non sa amare, c’è una sessualità separata dalla capacità del legame.

E nel ragazzo, voi vedrete quello che enfatizza l’amore ma non ha sesso. Con due varianti finissime, in cui la donna che pratica il sesso senza amore, è sessualmente disinvolta, ma ha sviluppato dentro di sé non dico una aridità, ma una sfiducia nell’amore; infatti dice al ragazzo: ‘l’amore è sesso’, poi non resta niente.

E il ragazzo, quando finalmente arriva nella stanza della donna, e la donna per pietà, perché vede che è un giovane disarmato, che non ha avuto mai rapporti sessuali, per pietà e anche per affetto, diciamo, in senso lato, si propone per una iniziazione, cioè lo invita a fare sesso, ecco, si vede il ragazzo che non è capace, ma perché lega così fortemente la sessualità all’amore, che dinanzi a questo modo spudorato di offrirsi della donna, vive la relazione come sacrilegio.

Quindi nel ragazzo c’è una santità della sessualità, perché è legata alla phília.

Quando poi lui ha un coito imperfetto, una eiaculazione scontenta e la donna gli dice: ‘guarda, questo è l’amore’, il ragazzo fugge disperato.

Quindi, interessante: un amore che cerca nella sessualità una sacralità, cioè un incontro sessuale come una celebrazione sacramentale, e che quindi vive come sacrilegio l’offerta disinvolta di questa donna che si è data a tanti; e la donna, che diventa arida per un darsi continuo, incapace di amare e che dice al ragazzo: ‘questo è l’amore’.

[Salvatore Natoli]

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