— Perché mi ami? — le chiedeva, consapevole tuttavia dell’assurdità della domanda.
Lei, che impiegava dieci minuti a rispondere alla domanda “Che tempo fa?” diceva senza esitare:
— Perché sei tu.
— Sono io, e allora?
— Sei tu. Quando ti avvicini a me, quando mi prendi la testa tra le mani, io ti riconosco.
— Da dove mi riconosci?
— Non lo so. Da molto lontano. Lo sento.
— Che cosa senti?
— Sento che mi hai scelta tantissimo tempo fa e che per me sei capace di tutto.
— Cosa intendi per tutto?
— È come se potessi condurmi al di là dei limiti umani. Erano parole d’amore. Salvator le trovava insolite. Per questo le rivolgeva spesso quella domanda. La risposta variava appena. E quando alla fine prendeva tra le mani il volto di Zoe, lei aveva negli occhi una paura che lo turbava.
Amelie Nothomb - L'entrata di Cristo a Bruxelles - pag. 29
[...]
L’odore di tutti quei fiori fu tanto forte da dare alla testa, e Zoe uscì dal suo torpore. Quando vide dov’era, si stupì. L’emicrania svanì.
L’eccesso di fragranze floreali la mise in uno stato d’animo bizzarro. Fecero l’amore tutta la notte. Dato che erano chiusi dentro e non avevano pensato al cibo, mangiarono nasturzi e glicini. Zoe, che aveva letto troppo Barbey d’Aurevilly, cercò di masticare una rosa: fece una smorfia.
— È buona solo nei macarons — commentò.
— Le rose ci saranno utili per un’altra cosa — disse Salvator.
— È l’unico fiore bello sia intero sia quando se ne spargono i petali.
— Davvero?
Sparse per lei i petali di un giglio, di un’orchidea, di una peonia, di un iris, di un gladiolo, di un pisello odoroso, di un’ortensia, di una sassifraga ombrosa, di una margherita, di un garofano, di un non—ti—scordar—di—me, di una clematide, di una zinnia, di una pneu—de—Cythère, di una camelia nera, di una fucsia e di un dente di leone e la convinse: la frammentazione si confaceva solo alla rosa. Era l’unico fiore che, sparso, aveva un’aria voluttuosa e non agonizzante.
Si fecero un letto di petali di rosa.
Amelie Nothomb - - L'entrata di Cristo a Bruxelles