lunedì 14 settembre 2015

Dove prima c’era il dito, c’era ora la sua lingua.


Ann Owen

Guy era sul suo seno, la mano la toccava ritmicamente tra le cosce. La sua testa era così scura, sul suo petto. La leccava e Jane ansimava, stringendogli i capelli, dimenandosi sotto di lui. Era così bello… così bello. Il suo diavolo, il suo padrone… il suo Guy.

   Fa che non smetta; ti prego, Dio, mandami all’inferno… ma non farlo smettere…

   Guy scivolò con la bocca più in basso, sul suo ventre contratto. Fermò la mano sulla vulva, e Jane si morse il labbro per non supplicare di riprendere a toccarla, di liberarla da quel bisogno che pulsava nel ventre.

   Ti prego, Guy… ti prego…

   Ma lui portò la mano più in basso, sotto la gamba, e gliela sollevò.    «Guy… Guy…»

   Leccandola sotto l’ombelico, le sollevò anche l’altro ginocchio. Le allargò le gambe, tenendole le mani sotto le cosce.

   «Mia piccola vergine» mormorò sulla sua pelle. «Mio piccolo angelo.»

   La vagina si dilatò in attesa di lui. L’istinto sapeva come un uomo fa sua una donna.

   Guy si spostò più in basso. Voleva guardarla da vicino? Voleva guardarla come…

   «Guy!» gridò.

   Non le stava guardando la vagina. Gliela stava…

    «Guy… no, è… è troppo… è… oh, Dio… mio Dio…»

   Dove prima c’era il dito, c’era ora la sua lingua. «Va tutto bene…» mormorò lui, sconvolgente, su quella parte del corpo così vietata, così oscena; «voglio solo scoprire… che sapore hanno gli angeli…»

   La leccò, facendosi spazio tra le labbra, ruotando tra i riccioli e dandole gentili colpi, e Jane sentì il suo calore, la sua saliva. Dio del cielo, era quello che aveva fatto lei a lui, prima, e anche Guy aveva sentito quella dolcezza? Quel piacere meraviglioso, quel piacere che non poteva essere male? La vista della testa scura tra le sue gambe, sulla sua peluria bionda, e quel succhiare, tracciare, inumidire, fu troppo. Jane sollevò le mani al cuscino, lo strinse, s’inarcò.

   «Oh, Guy!…»

Un travolgente piacere esplose nel suo ventre sollecitato; chiuse gli occhi e pianse d’assurda gioia, mentre il suo padrone le teneva la lingua ferma sul bottoncino che si contraeva e s’inzuppava, e inzuppava lui con il suo orgasmo, e la bocca che beveva di lei.

   Contro la sua vulva ipersensibile, Guy fece un verso di soddisfazione animale, e un getto caldo e denso le bagnò le gambe. Il suo seme. Aveva goduto anche lui, masturbandosi con la mano, senza chiederle altro.

   Il cuore nel petto di Jane batteva veloce. Dimentico di ogni cosa. Con lentezza, Guy portò il capo sul suo ventre. Le diede un leggero bacio sull’ombelico. Jane, sognante, gli portò una mano alla testa, senza riaprire gli occhi.

   Lui le baciò il corpo risalendo verso di lei. La pelle. Il seno. Il collo. Arrivò con la bocca al suo orecchio, e lì si fermò, sfiorandola con le labbra umide di lei.

   «Benvenuta ad Ashbourne House» le mormorò rocamente

Ann Owen *** Schiava per vendetta





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