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«Le ho messo il cazzo in bocca», pensai quando ce lo ebbi messo, e lo pensai con queste parole, perché soltanto queste parole arrivano quando si trasforma in parole o in pensieri ciò che si sta facendo con ciò che definiscono (quando ciò che definiscono sta agendo), ancora di più se quasi non si conosce l'altro corpo e soprattutto se le parole fanno riferimento alle parti del proprio corpo e non a quelle dell'altro, con le quali si è sempre più rispettosi e per le quali si cercano e si usano gli eufemismi e le metafore e i termini neutri. «Le ho messo il cazzo in bocca o lei ci ha messo sopra la bocca, visto che è stata la sua bocca che è venuta a cercarlo. Le ho messo il cazzo in bocca, - pensai, - e non è come altre volte, come tante volte da molto tempo. La bocca di Muriel è adatta a succhiare, come ho notato sin dal primo momento, da quando l'ho baciata, ma non è spaziosa e liquida come quella di Clare Bayes. Le manca saliva e le manca spazio. Le sue labbra sono carine, ma un po' sottili, e sono ferme; o, più che ferme (non lo sono, sento molto il loro movimento), mancano di flessibilità, sono rigide. (Sono come nastri tesi). Mentre ho il cazzo nella sua bocca le vedo i seni, sono bianchi e grandi e con i capezzoli molto scuri, a differenza di quelli di Clare Bayes, che combinano i loro due colori senza stridori, come il passaggio dal colore dell'albicocca a quello della nocciola. Noto sulle mie cosce (che li stringono un po', senza farle male) la compattezza di quei seni bianchi, e, sebbene questa ragazza sia molto giovane, la consistenza è molle, come plastilina nuova e ancora non impastata né indurita dall'uso e dalle impronte del bambino che ci gioca. Io ho giocato molto con la plastilina, ma ignoro se il bambino Eric ci giocasse.
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