George Gordon Byron IL SOGNO I La nostra vita è duplice: ha un suo mondo il Sonno che è confine tra le cose in modo improprio nominate morte ed esistenza: il Sonno ha un proprio mondo, sconfinato reame di realtà primitive. Sviluppandosi, i sogni hanno respiro, le lacrime, i tormenti e il senso della gioia; sui coscienti pensieri essi hanno un peso e alle fatiche del giorno lo tolgono, dividono il nostro essere e diventano parte di noi e del tempo, rassomigliano a araldi dell’eterno; simili a fantasmi del passato svaniscono, parlano come sibille del futuro; hanno il potere, la tirannia del piacere e della pena; fanno di noi quel che non fummo, a loro piacimento, con visioni già passate agitandoci e il terrore di svanite ombre. Ma è questo che sono? Non è un’ombra anche il passato? Cosa sono? Invenzioni della mente? Capace di sostanza, sa creare pianeti, la mente, e popolarli d’ogni più luminoso essere mai esistito, e sa infondere vita a forme che alla carne sopravvivono. Ma una visione sognata forse dormendo, vorrei ricordare, perché nato dal sonno un pensiero, anche un solo pensiero, in sé comprende anni e in un’ora racchiude una vita. II Due creature colorite di giovinezza vedevo su un’altura, una verde collina gentile, dolcemente digradante, come l’ultima fosse il promontorio d’una lunga catena, senza un mare che lo bagni ma con un vivace paesaggio, l’onda di boschi e messi, e con dimore umane tutte sparse là intorno e spirali di fumo che salivano dai rustici tetti; un insolito diadema d’alberi disposti in cerchio, non da arbitrio di natura ma dall’uomo, incoronava la collina. I due, un ragazzo e una giovane donna, erano incantati: lei fissava la bellezza (pari alla sua) che si stendeva in basso; lui, la giovane. Entrambi erano giovani, ma lei sola era bella; erano entrambi giovani, ma di gioventù diversa. Come la dolce luna appena all’orizzonte, la giovane era pronta a farsi donna; aveva meno estati il ragazzo ma il cuore superava i suoi anni e un solo volto amato ai suoi occhi esisteva sulla terra e su di lui splendeva, ora; l’aveva guardato a lungo perché non potesse dimenticarlo più; in lei sola aveva respiro e vita; lei era la sua voce: egli non le parlava, ma ogni sua parola lo faceva tremare; era anche la sua vista: seguiva con i suoi gli occhi di lei, che a tutti gli oggetti davano colore, e vedeva tramite loro; non viveva più in se stesso: era lei la sua vita, e per il fiume dei pensieri l’oceano in cui tutto finiva. A ogni cambio di tono, a ogni suo gesto, gli affluiva e rifluiva il sangue dalle guance, che subito cambiavano colore, senza che il cuore sapesse la causa del tormento. Ma lei quei sentimenti tanto profondi non li condivideva, né per lui sospirava: era un fratello, e niente più; era – grazie all’amicizia giovanile – già molto per lei, senza fratelli, ultima e sola discendente d’illustre stirpe. Perché a lui quel nome piaceva e non piaceva? Quando lei amò un altro, egli apprese dal tempo la profonda risposta. Anche ora amava un altro e dalla vetta del colle scrutava lontano se il destriero dell’amato volasse al passo della propria attesa. III Avvenne un mutamento nello spirito del sogno. C’era un’antica magione e davanti alle mura un destriero bardato. Pallido e solo, in un vecchio Oratorio, il giovane che ho detto andava avanti e indietro; d’improvviso si sedette e presa una penna scrisse parole che non so dirvi, poi chinò la testa sulle mani, agitandosi sconvolto, quindi si alzò e coi denti e con le mani tremanti fece a pezzi il foglio appena scritto; non sparse lacrime. Cercò di calmarsi assumendo un’espressione quieta; in quel momento entrò la donna amata: sorrideva serena, pur sapendo ch’egli l’amava, sì, e sapeva – basta poco a capire – che con la sua ombra oscurava quel cuore e vide come fosse infelice, ma non vide tutto. Egli si alzò e con fredda cortesia le prese e strinse una mano. All’istante sul suo volto s’incisero pensieri indicibili, ma subito svanirono. Lasciò andare la mano che stringeva e a passi lenti s’allontanò; ma senza dirsi addio si separarono e il sorriso sulle labbra. Egli uscì dalla robusta porta dell’antica magione e salito a cavallo se ne andò per la sua strada; la vecchia soglia non varcò mai più. IV Avvenne un mutamento nello spirito del sogno. Il ragazzo si fece uomo. In zone inospitali dai climi infuocati trovò casa e con l’anima beveva da quei raggi solari; intorno aveva gente di pelle scura e strano aspetto; egli stesso non era più quello d’un tempo: errava per mare e per terra. Immagini molteplici premevano come onde su di me, egli in tutte aveva parte. Nell’ultima, disteso giaceva riposando dall’afa meridiana tra colonne abbattute, all’ombra di muraglie in rovina sopravvissute ai nomi di coloro che le avevano alzate; al suo fianco nel luogo dove stava dormendo pascolavano cammelli e accanto a una fonte erano legati superbi destrieri; intanto un uomo con un largo costume era di guardia mentre molti altri della sua tribù dormivano là intorno sotto l’azzurra volta di un cielo così chiaro e terso e di bellezza così pura che solo lassù poteva essere visto Dio . V Avvenne un mutamento nello spirito del sogno. La donna amata era stata sposata a uno che non l’amava più di lui, e viveva in una casa mille leghe lontana, la stessa casa dov’era nata, e intorno le cresceva l’Infanzia, figli e figlie della bellezza. Ma – vedete? – ha sul volto il colorito della pena, l’ombra decisa d’un rovello interiore, occhi inquieti e bassi come avesse ciglia colme di lacrime non sparse. Qual era la sua pena? Non aveva tutto quello che amava? Chi l’aveva tanto amata non era lì a turbare con speranze insensate o con cattivi desideri o tormenti mal repressi i suoi puri pensieri. La sua pena qual era? Non l’aveva mai amato, né per sentirsi amato ebbe motivo, lui, né aveva parte in ciò che le assillava la mente: era uno spettro del passato. VI Avvenne un mutamento nello spirito del sogno. Il viaggiatore era tornato. Lo vedevo davanti a un altare, e aveva al fianco una sposa gentile, con un volto adorabile: non certo la stella luminosa della sua fanciullezza. Là, stando in piedi davanti all’altare, sulla fronte gli apparve la stessa espressione, e tremò della stessa violenta emozione che nell’antico Oratorio gli aveva scosso il cuore; per un attimo sul volto, come allora, s’incisero indicibili pensieri che subito svanirono; restò calmo e tranquillo, pronunciando i voti di rito, senza udirne le parole, ed ogni cosa gli ruotava intorno. Non vide quel che accadde o doveva accadere. L’antica magione, le sale abituali, le stanze note, il luogo, il giorno, l’ora, ombra e luce del sole, le cose che a quel luogo e a quell’ora appartennero e lei, il suo destino: tutto gli tornò in mente e s’interpose fra sé e la luce. Che avevano da fare là, proprio in quel momento? VII Avvenne un mutamento nello spirito del sogno. La donna ch’egli amava… ah, com’era cambiata! Come fosse malata nell’anima. La sua mente s’era smarrita e gli occhi non avevano più quel loro splendore, ma uno sguardo non più terreno; era ormai la regina di un reame irreale; i suoi pensieri confondevano cose tra loro incoerenti; impalpabili forme, a occhi normali invisibili, per lei erano familiari. Un delirio: così lo chiama il mondo. Ma la follia dei saggi è più profonda ed è un dono terribile lo sguardo della malinconia, un telescopio di verità. Denuda la distanza delle proprie illusioni, ci avvicina la vita in tutta la sua nudità e la fredda realtà fa più reale. VIII Avvenne un mutamento nello spirito del sogno. Il viaggiatore come un tempo era solo. Chi prima lo attorniava se n’era andato o adesso gli faceva guerra; era bersagliato da sventura e dolore, accerchiato dalle liti e dall’odio; la pena era mischiata a tutto quel che gli veniva offerto, finché, come l’antico re del Ponto, di quei veleni, resi inefficaci, prese a nutrirsi, ne fece il suo cibo: visse così di quel che ad altri avrebbe dato morte. Si fece amici i monti; con le stelle e lo spirito vivente dell’universo conversava e apprese i loro magici misteri; il libro della Notte per lui era spalancato e voci dal profondo degli abissi prodigi gli svelavano e misteri. E così sia. IX S’era concluso il sogno e più non ebbe mutamento. Strano come la sorte delle due creature fosse descritta in modo tanto reale: una finita folle, e tutt’e due infelici. Traduzione di Francesco Dalessandro da Il sogno e altri pezzi domestici, Il Labirinto, 2008 poesia senza pari
| HOME | poesie | poesie d'amore | poesie erotiche | narrativa | ti voglio bene | letture | lettere | Twitter | Indici temi & autori |
venerdì 27 novembre 2015
Sviluppandosi, i sogni hanno respiro, le lacrime, i tormenti e il senso della gioia;
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
commenta questo post